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Festival del Film di Roma 2014 - Elementare. Appunti di un percorso educativo

Pubblicato il 22 ottobre 2014 da Alessandro Izzi

VOTO:

Festival del Film di Roma 2014 - Elementare. Appunti di un percorso educativo

Bisogna aver lavorato almeno una volta con i bambini per capire la profonda utopia di un film come Elementare. Appunti di un percorso educativo.
Per amarlo, invece, non ci vuole veramente nulla perché gli sguardi dei bambini, le loro parole, i loro gesti invocano un’immediatezza del sentimento che va dritta al cuore senza quasi passare per gli occhi.
Non serve, per cominciare a entrarci dentro, essere insegnanti perché oggi come oggi si può essere, purtroppo, maestri rimanendo in alto, sulla cattedra, senza scendere tra i banchi, ad altezza di bambino.
Non serve neanche essere genitori dal momento che spesso per loro la preoccupazione principale è che i figli accedano al più presto e nel modo meno traumatico possibile al mondo adulto. Il che è se non altro comprensibile.
Non serve, insomma, aver lavorato sui bambini, come fossero secchi da riempire di nozioni e cui insegnare a inseguire i ritmi della vita quotidiana. Né aver lavorato per loro affrettando il più possibile il loro crescere.
Bisogna, appunto, aver lavorato con loro. Ascoltandoli. Adeguandosi al loro ritmo interno, all’esigenza del loro rapportarsi con l’altro e con il mondo che li circonda.
Perché i bambini sono davvero sconfinati. Non hanno la stessa percezione delle distanze che abbiamo noi. Né pensano seguendo le nostre tanto facili contrapposizioni.
Per loro io e tu non sono divisi da muri di paura. Se si spaventano non è per pregiudizio, ma per quello sgomento che si prova quando si scoprono le cose la prima volta e, quando cominciano a imparare, riportano ogni cosa nello spazio della loro esperienza che se le rigira a modo suo, nello spazio di un vocabolario ancora povero, ma già essenziale.
Per comprendere l’utopia di questo film bisogna lasciarsi affascinare dal capriccio delle nuvole che disegnano forme sempre diverse nel cielo azzurro. Bisogna concedersi il piacere di guardare la corsa delle onde che battono sugli scogli con suoni sempre nuovi. Bisogna amare il provvisorio e non spaventarsi all’idea che di lì ad un minuto non sarà più lì perché la sua bellezza in fondo riposa tutta nella sua unicità irripetibile e destinata naturalmente a finire.
Perché l’infanzia è essa stessa provvisoria, dura lo spazio di un’estate.

Normalmente siamo pensati a credere che l’adolescenza sia un seme gettato nel cuore dell’inverno della vita che, se giustamente protetto, diverrà presto un albero pronto a sfidare le altezze del cielo e l’avversità dei venti. Non credeteci.
È vero piuttosto il contrario. L’infanzia è piuttosto il seme che ci portiamo nel mondo adulto, che custodiamo segreto nei nostri cuori. Il nostro tesoro sepolto che va preservato, annaffiato e curato. Per questo il bambino ha diritto al Bello perché è esso stesso Bello.

Ha ragione il regista di Elementare che con umiltà chiosa il suo lavoro con il sottotitolo di appunti, (ma avrebbe potuto tranquillamente parlare di poema) quando dice che la scuola non deve cercare sempre più di assomigliare al mondo, ma deve piuttosto agire per contrasto.
Perché la scuola non è quel posto che ci deve preparare al mondo del lavoro (se questo accade è puramente incidentale), ma quello spazio nel quale costruiamo noi stessi con la pazienza dei contadini.
E se fuori tutto corre la scuola deve essere spazio per la pausa, se fuori ci sono telefonini e tablet, dentro ci deve essere spazio per la manipolazione, per il gioco che sporca e che imbratta.

Elementare nasce per essere una serie di appunti su un percorso educativo da parte di un maestro che ha sempre voluto registrare quello che dicono i bambini. È fatto con una telecamerina piccola piccola che raccoglie idee, registra progetti, gite scolastiche, l’incredibile gioco del teatro che permette di parlare di pittura, di Arte, di Filosofia. Ma proprio perché raccoglie le parole dei bambini, condite dei colpi di tosse dei primi raffreddori, diventa necessariamente universale.
La sua utopia sta nel metterci di fronte non tanto alle esperienze belle di una classe, ma nella scoperta numinosa che tra le tante culture che esistono al mondo ce n’è una che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni ignorandola: la cultura infantile. Una cultura che ha diritto al nostro rispetto, che ha diritto alla nostra pausa, ad uno sguardo che non sia dall’alto dell’educatore, ma alla sua stessa altezza.
E anche nella sua leggerezza incantata, il film ha una struttura e un linguaggio precisi che crescono col crescere dei ragazzi. Così dall’impronta impressionista delle prime inquadrature si arriva gradatamente ad un montaggio più simbolico quando di colpo si comincia, mirabile dictu, a parlare di filosofia.

Alice nella città è sempre stata la sezione più bella di tutto il Festival del Film di Roma. Inserendo questo film in programma, pur se con fatica e all’ultimo momento, ha dato al suo essere bella il suo perché. E quando il Bello si fa etico non ci sono più discorsi che tengano.
Quel che resta è solo lo spazio, commosso, per un grazie appena sussurrato.


CAST & CREDITS

(Elementare. Appunti di un percorso educativo); Regia, sceneggiatura e fotografia: Franco Lorenzoni; montaggio: Chiara Russo e Michelangelo Garrone; musica: Fabrizio Ottaviucci; interpreti: Mattia Battaglia, Lorenzo Bernardini, Erika Bocci, Matteo Buzzicotti, Greta Cannas, Luca Caston, Ylenia Ceccariglia, Marianna Fontana, Simone Guazzaroni, Valeria Ippoliti,Lara Mastria, Fabio Picchio, Francesca Rosati, Francesco Ruco, Valerio Secondi, Irene Sgrigna, Asia Tenerelli, alunni della scuola elementare di Giove (Umbria) dal 2008 al 2013; produzione: Cenci casa-laboratorio; genere: documentario; origine: Italia, 2014; durata: 53’


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