X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Festival del Film di Roma 2014 - Evento speciale Wired: Tonacci e Perrone

Pubblicato il 21 ottobre 2014 da Alessandro Izzi


Festival del Film di Roma 2014 - Evento speciale Wired: Tonacci e Perrone

Un evento davvero speciale quello proposto all’interno di Wired – Next cinema con due opere, due momenti di sperimentazione linguistica e audiovisiva, due momenti di cinema assolutamente non narrativo che seguono piste tra loro diversissime e che, stranamente dati i paesi di provenienza (brasiliano il primo, argentino il secondo), parlano in certa misura italiano.

Il primo è Jao visto Jamais visto di Andrea Tonacci che, raccogliendo filmati e foto di famiglia, costruisce una sorta di piccola sonata per bambino solo. Sullo schermo si raccolgono momenti incongrui: un ragazzo si esercita al pianoforte, una troupe prepara il set per la realizzazione di un film, una scena del quale viene preparata e girata, poi il ritrovamento di un vaso contenente una grossa chiave arrugginita, un viaggio in Italia tra Mantova e le meraviglie del giardino dei mostri, una discussione tra produttore e regista circa una scena e il suo ritmo interno, quindi foto di matrimonio ed un improvviso infiammarsi di una precisa vocazione politica.
Tutto scorre ondivago sulla superfice dello schermo seguendo precise assonanze sonore (il rumore scricchiolante della brace di una stufa che si sovrappone allo scricchiolio delle foglie calpestate dal bambino che passeggia, una pistola gioccattolo puntata verso un intruso cui segue il rombo di un tuono che è peggio di uno sparo ecc.) che creano una sorta di ponte tra materiali eterogenei che sono la cronaca di un vissuto familiare e la continua allusione ad un preciso contesto sociale.
Su tutto, quasi in postilla ad orientare a posteriori la lettura dello spettatore, le parole di Moravia sul lavoro degli sceneggiatori che passano la giornata in chiacchiere, ma poi compongono le sceneggiature quasi fossero patchwork perché è raro che gli autori giungano ad un incontro tra idee e bisogno di esprimerle, come sono rari, in fondo, i film buoni per davvero.
Tonacci insegue un libero flusso di pensieri/immagine che non erano nati per raccontare qualcosa di preciso, ma che, accostati tra loro diventano, incredibilmente, discorso. L’impressione è quella di trovarsi di fronte ad una vera e propria esercitazione sul linguaggio, proprio come il bambino che apre la pellicola con i suoi esercizi di solfeggio e che, verso la fine, accortosi della macchina da presa chiede al padre di smettere di riprenderlo mentre sbaglia qualche diteggiatura. Simbolo forse della resistenza intrinseca del materiale che, riottoso, compone comunque uno strano affresco in cui si rincorrono suggestioni infantili ad altezza di bambino e un preciso atto di sfiducia verso le strategie del cinema narrativo incapace, a detta dell’autore, di entrare in un tempo interiore, disteso e capriccioso come un flusso di coscienza.
Il rischio di un percorso di questo genere è l’autoreferenzialità nella quale si ha l’impressione di cadere qualche volta, ma che non intacca una certa suggestione onirica che accompagna sempre lo spettatore.

Diverso il caso di Ragazzi di Raul Perrone che compone una vera e propria sinfonia in due movimenti sul mondo dell’adolescenza.
Le due parti del film, diverse tra loro per atmosfera, ruotano in forma speculare come in un’opera di Bartok, intorno alla cerniera del tema della morte.
Nella prima, più oscura ed espressionista, è la morte dell’adulto per mano di un ragazzo al centro del discorso. Attraverso una ricostruzione suggestiva del delitto Pasolini, l’autore insegue un gioco di allusioni al mondo poetico del grande regista e scrittore friulano. Così viene messa al centro del discorso la disperata vitalità dei ragazzi che hanno sempre bisogno di uccidere i loro padri, di affrancarsi edipianamente dall’influenza delle madri, di gridare al mondo il loro semplice esserci. È il lato oscuro dell’adolescenza quello cantato in questa prima parte di sinfonia da Raul Perrone, con le sue ombre, le sue lacerazioni, la sua violenza. Su tutto la lettura della lettera di Pasolini ai giovani è emblema di un dialogo generazionale impossibile eppure inevitabile, quasi un presagio del delitto stesso.
Nella seconda, più lirica, è invece al centro del discorso la morte di un ragazzo di appena quindici anni annegato nelle acque di un fiume infido e maledetto. Qui, a contatto con uno scenario improvvisamente bucolico, anche se sovrastato dal ponte di una ferrovia con il rumore dei treni in corsa a farci da presagio luttuoso, lo stile si ammorbidisce nel canto degli aspetti più solari dell’adolescenza, nello sciogliersi della tensione erotica tra corpi giovani, nella leggerezza disincantata e bella di un pomeriggio estivo. Una certa vocazione panteistica ridefinisce le coordinate della sinfonia visiva spingendola in una straordinaria rarefazione delle emozioni che culmina nella citazione dell’Atalante di Vigo che è un vero e proprio inno all’amore adolescenziale. In conclusione l’adagio handeliano reso celebre dal Kubrick di Barry Lyndon si innesta sulle dissolvenze incrociate dei ragazzi che si tuffano riportate però in moto inverso, come a suggerire l’imminente fine dell’adolescenza e l’ingresso inevitabile nel mondo adulto.
Con un bianco e nero per metà pasoliniano (come è ovvio) e per metà bunueliano, l’autore argentino intesse un’opera di notevole suggestione destinata a lasciare un segno nel solco del cinema sperimentale.


CAST & CREDITS

(Jao Visto Jamais Visto); Regia: Andrea Tonacci; sceneggiatura: Andrea Tonacci; genere: documentario; origine: Brasile, 2013; durata: 50’

(Ragazzi); Regia: Raul Perrone; sceneggiatura: Raul Perrone; origine: Argentina, 2014; durata: 80’


Enregistrer au format PDF