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Festival del film di Roma 2014 - Last summer

Pubblicato il 19 ottobre 2014 da Alessandro Izzi

VOTO:

Festival del film di Roma 2014 - Last summer

Narra un’antica leggenda che, se ci si sdraia su una piccola spiaggia ad una certa ora, fissando il sole è possibile vedere il dio del mare. La visione comporta un privilegio straordinario: la possibilità di viaggiare per tutto il mondo in un solo istante.
Nei fatti nessuno è mai riuscito a vedere in volto la divinità, purtuttavia è cosa certa che sia lì, da qualche parte nella distanza che si tinge di azzurro.

In Last summer la leggenda è raccontata da una madre a suo figlio il giorno prima di dovergli dire addio. La legge, che le ha tolto la potestà sul piccino, le ha concesso appena quattro giorni da trascorrere con lui. E lo spazio che devono condividere per questo breve incontro è quello di un’imbarcazione ampia e lussuosa mentre sono sorvegliati da vicino dai membri dell’equipaggio che hanno ben chiare istruzioni su come limitare i danni dello stare insieme.
Del resto il piccolo non può essere lasciato solo con la madre dal momento che poco tempo prima, in un lasso di tempo esterno al narrato e lasciato intuire solo nei dialoghi, aveva dato segni di squilibrio, con esplosioni di rabbia e, probabilmente, abuso di farmaci.

Alla bulimia di dialoghi e suoni che tanto affligge il cinema contemporaneo Last summer oppone una calibatrissima partitura di silenzi.
Ci sono i silenzi del non detto doloroso che dividono all’inizio madre e figlio e che si riempiono solo dei sospetti dell’equipaggio che perennemente bisbiglia fuori scena.
Ci sono poi i silenzi del lento, ma inesorabile ritorno dell’amore del figlio della madre che non può passare attraverso il filtro limitato delle parole.
C’è il silenzio del dolore. Quello del pentimento. E, infine, quello del perdono impossibile per una madre che è costretta ad abbandonare il figlio per undici anni, almeno fino al momento in cui non diventi maggiorenne e possa finalmente scegliere per sé quello che ritiene più opportuno.
Tutto il film non è che un lento ricucire insieme questi silenzi, un disperato tentativo di mettere insieme i pezzi di due cuori infranti con la poca colla della lacrime non piante e dei ricordi che non si vogliono cancellare.

Le immagini accolgono questi silenzi intorno alle tante parole che non dicono o dicono troppo poco con una delicatezza inusitata. Raramente ci era capitato di vedere un film composto da immagini così capaci di farsi contenitore di quel vuoto che solo le emozioni possono riempire di Senso.
Le inquadrature si calibrano sui personaggi mantenendo nei confronti dei loro vissuti un pudore che non significa mancanza di partecipazione. Al contrario l’apparente freddezza della fotografia virata su toni chiari, unita alla geometria lussuosa dell’interni della nave e del ponte rispondono con incredibile aderenza alla prima parte del racconto, quando la donna, sola contro tutti e con il figlio che non le vuole nemmeno parlare, sembra sul punto di cedere psicologicamente. Successivamente, con lo spostarsi del racconto sull’isola dell’ultima passeggiata, la fotografia si scalda e con essa il suo straordinario carico emotivo.

Colpisce la fluidità con cui la narrazione scivola gradualmente e senza contraddizioni dalla prima parte con i suoi toni da thriller dell’anima alla dimensione di melodramma della seconda.
Un melodramma certo non di stampo occidentale, non fiammeggiante come un Sirk, ma contenuto nello spazio quasi astratto della calligrafia più pura tanto cara alla cultura orientale.
Last summer è un film impostato su una sceneggiatura incredibilmente solida nella sua capacità di raccontare molto poco in cerca ad ogni fotogramma solo dell’essenziale. E deve gran parte della sua riuscita all’incredibile bravura di Rinko Kikuchi e alla straordinaria naturalezza che il regista riesce a far mantenere al suo interprete più piccolo, Ken Brady.
Un’opera che ha la forza di tuffarsi nel dolore di un addio per riemergere comunque a pelo d’acqua col pensiero che, sicuramente, da qualche parte, quel dio del mare che colma le distanze c’è. Bisogna solo avere la forza di aspettarlo.


CAST & CREDITS

(Last summer); Regia: Leonardo Guerra Seràgnoli; sceneggiatura: Leonardo Guerra Seràgnoli con l’intervento di Banana Yoshimoto; fotografia: Gian Filippo Corticelli; montaggio: Monika Willi; interpreti: Rinko Kikuchi, Lucy Griffiths, Yorick van Wageningen, Daniel Ball, Laura Bach, Ken Brady; produzione: Cinema 11 undici, Essentia, Jean Vigo Italia; distribuzione: Bolero Film; origine: Italia, 2014; durata: 95’


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