Le figurine (invisibili) del Festival di Cannes
Mentre sta per iniziare la 16° edizione del Biografilm Festival che sarà visibile dal 5 al 15 giugno online (cfr. il programma nonché le modalità di fruizione e prenotazione dei film sul sito https://www.biografilm.it/), il Festival di Cannes ha annunziato ieri, mercoledì 3 giugno, il programma ufficiale della sua 73° edizione. Che, come ben noto, non verrà mai effettivamente realizzata, se non conferendo un “marchio” ai film selezionati.
Il Delegato generale (cioè il Direttore) Thierry Frémaux e il Presidente del Festival Pierre Lescure hanno annunziato al mondo una lista che comprende 56 opere provenienti da 147 paesi (ma la gran parte è francese ça va sans dire). I film “selezionati” potranno fregiarsi dell’etichetta di “Cannes 2020”, per poter poi essere presentati ad altri Festival e/o ovviamente uscire in sala. Manca all’appello (se non come coproduttore di Last Words di Jonathan Nossiter), guarda caso, l’Italia dato che il Festival di Venezia dovrebbe effettivamente tenersi a settembre (ma sarà così? E in che condizioni?) Contentino al nostro paese, bontà sua, da parte di Frémaux, il ricordo che Federico Fellini avrebbe compiuto cento anni. Tra le curiosità, il regista inglese Steve McQueen ha avuti selezionati ben due film – un vero fedelissimo! Nanni Moretti, invece, si è tenuto le mani libere per poter, forse, essere a Venezia.
Di seguito la lista in cui - ha sentenziato sempre il Delegato generale - “non ci saranno sezioni perché non ci sarà un festival” ma se si va a vedere sul sito di Cannes,delle differenze vengono indicate. Per qualche curioso, ecco un link a riguardo: https://www.festival-cannes.com/en/...
- The French Dispatch, di Wes Anderson
- Été 85, di François Ozon
- True Mothers, di Naomi Kawasi
- Pleasure, di Ninja Thyberg
- Slalom, di Charlène Favier
- Lover’s Rock, di Steve McQueen
- Mangrove, sempre di Steve McQueen
- Druk – Another Round, di Thomas Vinterberg
- Heaven, di Hong Sang-soo
- Peninsula, di Sang-ho Yeon
- ADN, di Maïwenn
- Soul, Pete Docter
- Ammonite, di Francis Lee
- Falling, di Viggo Mortensen
- Broken Keys, di Jimmy Keyrouz
- Truffle Hunters, di Gregory Kershaw e Michael Dweck
- Aya and the Witch, di Goro Miyazaki
- Casa de antiguidades (Memory House), di Joao Paulo Miranda Maria
- Broken Keys (Fausse note), di Jimmy Keyrouz
- Ibrahim, di Samir Guesmi
- Beginning (Au commencement), di Dea Kulumbegashvili
- Gagarine, di Fanny Liatard e Jérémy Trouilh
- 16 printemps, di Suzanne Lindon
- Vaurien, di Peter Dourountzis
- Garçon chiffon, di Nicolas Maury
- Si le vent tombe (Should The Wind Fall), di Nora Martirosyan
- John and The Hole, di Pascual Sisto
- Striding into The Wind (Courir au gré du vent), di Wei Shujun
- The Death of Cinema and My Father Too, di Dani Rosenberg
- Limbo, Ben Sharrock
- Last Words, di Jonathan Nossiter
- El olvido que seremos, di Fernando Trueba
- In the Dusk, di Sharunas Bartas
- Des hommes, di Lucas Belvaux
- The Real Thing, di Koji Fukada
- Évent, di Im Sang-soo
- Passion simple, di Danielle Arbid
- A Goodman, di Marie Castille Mention-Schaar
- Les Choses qu’on dit, les choses qu’on fait, di Emmanuel Mouret
- Rouge, di Farid Bentoumi
- Souad, di Ayten Amin
- Josep, di Aurel
- Sweat, di Magnus von Horn
- Teddy, di Ludovic e Zoran Boukherma
- February, di Kamen Kalev
- Un médecin de nuit, di Elie Wajeman
- Enfant terrible, di Oskar Roehler
- Nadia (Butterfly), di Pascal Plante
- Here We Are, di Nir Bergman
- Septet: The Story of Hongkong, di Ann Hui, Johnnie To, Tsui Hark, Sammo Hung, Yuen Woo-Ping, Patrick Tam e Ringo Lam
- The Billion Road, di Dieudo Hamadi
- The Truffle Hunters, di Michael Dweck e Gregory Kershaw
- 9 jours à Raqqa, di Xavier de Lauzanne
- Antoinette dans les Cévennes, di Caroline Vignal
- Les Deux Alfred, di Bruno Podalydès
- Un triomphe, di Emmanuel Courcol
- L’Origine du monde, di Laurent Lafitte
- Le Discours, di Laurent Tirard
- Flee, di Jonas Poher Rasmussen
Anche la “Semaine de la Critique” ha annunziato una propria selezione, il direttore artistico della sezione Charles Tesson e il suo comitato hanno selezionato cinque film e 10 cortometraggi che riceveranno la preziosa (a questo punto) etichetta di Cannes. Come si legge nel seguente comunicato al link: https://www.semainedelacritique.com...
Ormai, dunque, che i Festival si facciano o non si facciano, non conta più nulla – basta il “label”, il marchio, il fog (film ad origine controllata). L’industria o almeno quanto resta di essa, è contenta, i produttori ne potranno approfittare per i futuri finanziamenti pubblici, vantando la presenza fantasma a Cannes 2020.
Qui di seguito uno scherzoso commento di Mazzino Montinari per aprire la discussione riguardo a una scelta che, a nostro avviso, annichilisce l’essenza stessa del concetto di Festival e prende per i fondelli, una volte per tutte, i loro più devoti frequentatori, i cinefili. (G. Sp.)
Un ragazzino esce di corsa sbattendo la porta, il papà gli ha appena dato duecento lire, un patrimonio da spendere con risolutezza. Scese le scale, il portone ormai alle spalle, si tratta solo di fare altri trecento metri e l’edicola è là ad aspettarlo. Soprattutto, ad attenderlo sono le figurine dei calciatori Panini, dieci pacchetti e col resto ci scappa anche un ghiacciolo e magari un cremino. Fatto l’acquisto più importante, praticamente ingoiato sia il ghiacciolo sia il cremino, manca solo un’operazione, la più desiderata e al tempo stesso dolorosa, perché poi bisognerà aspettare le prossime lire. Escono dalle bustine i nomi degli idoli di sempre e quelli per cui si prova più curiosità e simpatia, quei calciatori dei quali non si parla mai e che, però, sono in un riquadro identico a quello di Riva e Rivera. Ghio, Franzot, Martiradonna, Bachlechner, la fantasia corre, finalmente un volto a quei nomi strani che riecheggiano dalle voci di Ameri e Ciotti o che, sfocati, appaiono fugacemente col commento di Barendson e Valenti, solo per un autogol o, di spalle, dopo aver subito un tunnel di Chiarugi. A questo punto, il lettore si chiederà che cosa tutto questo possa avere a che fare con la selezione ufficiale del Festival di Cannes. Poco, è la risposta sincera. Un po’ come quegli stessi album dei calciatori Panini già dotati di tutte le figurine, ristampati negli anni Novanta in allegato con «l’Unità». Le famose operazioni nostalgia di Walter Veltroni. Via il ragazzino che desidera e che corre, che scarta e osserva, via la fantasia, via il riscatto degli ultimi e degli introvabili. Solo un bell’album da sfogliare con un marchio che garantisce per tutti, per chi ha scelto e per chi, senza vedere, è a sua volta una figurina, non del calciatore, ma dello spettatore anonimo. E quindi eccoci con cinquantasei film già incollati all’album, senza pubblico e critica. Nomi e titoli, ognuno dei quali dotato di una frase di accompagnamento: «mi manda Cannes». Naturalmente la replica di chi sostiene che il cinema è un’industria e che il festival più importante al mondo ne sia il messaggero più autorevole, è consentita e legittima. Senza i marchi non si fa nulla, non si ottengono finanziamenti e sponsorizzazioni, e non si crea lavoro per un gruppo di persone eterogeneo, con molteplici competenze. Viva gli epigoni dell’industria. Allora, però, come in Apocalypse Now , aspettiamo un Kurtz che senza esitazioni sia in grado di predicare e praticare l’orrore dei nostri tempi e non un Bill Kilgore capace ecumenicamente di amare l’odore del napalm e il surf. Mettiamo un punto alla sacralità della sala, alla sterile polemica contro le piattaforme (quelle che erano rifiutate nei concorsi), alla condivisione, alla critica impegnata (quella che doveva accettare gli embarghi per scrivere di un film) e lasciamo spazio alle selezioni virtuali, ai link, ai comunicati stampa con le percentuali, quelle che rivendicano, ad esempio, la minoranza delle donne come un successo, solo perché ieri erano ancor più minoranza. E ora non resta che augurarci, buona visione...neanche virtuale o online.