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Addii - Ciao Dino, mostro della nostra commedia

Pubblicato il 7 giugno 2008 da Antonio Valerio Spera


Addii - Ciao Dino, mostro della nostra commedia

Decise di studiare medicina, per l’esattezza psichiatria, ma poi si spostò nel cinema. Se non avesse cambiato strada, oggi forse questa non sarebbe la sede più adatta per ricordarlo, ma per fortuna nostra e del cinema italiano Dino Risi scelse di analizzare la psicologia umana attraverso i film. Se n’è andato anche lui, uno degli ultimi esponenti di un cinema che non c’è più, di un’arte sublime; rappresentante di un paese che sapeva ancora ridere di se stesso e che si sapeva raccontare con disincanto.
Henri Bergson scrisse che il comico esprime un’imperfezione individuale o collettiva che vuole la correzione immediata. Il riso è la correzione, è un gesto sociale che sottolinea e reprime una distrazione speciale degli uomini e degli avvenimenti. Questo concetto si applica alla perfezione alla commedia all’italiana ma soprattutto al cinema di Risi. Egli, infatti, condiva le sue opere di cattiveria e di cinismo, che riuscivano a mortificare e a beffeggiare la società italiana e i personaggi che la popolavano. Personaggi sì, ma più che altro ‘mostri’. Mostri perché crudeli, perché arrivisti, perché egoisti. Mostri perché incoerenti ed alienati. Risi nella sua carriera ha costantemente messo in scena la deformità politica, sociale, storica, psicologica e fisiologica dell’Italia. Ha vivisezionato il paese, l’ha smontato dal suo interno e ne ha fatto vedere la più profonda essenza. Il suo cinema non è satira, né parodia. I suoi film, da Poveri ma belli a Una vita difficile, da I mostri a Straziami, ma di baci saziami, sono i ritratti di un’Italia che cambia, di una borghesia allo sbando, di una storia che si continua a fare nel presente. Se è vero ciò che diceva Bergson, allora il cinema di Risi assume la valenza di fondamentale gesto sociale, perchè ha spinto (e spinge tutt’ora) l’italiano a ridere dei suoi vizi, dei suoi difetti, delle sue abitudini.
All’interno del panorama della commedia all’italiana, Risi rappresenta l’arma in più. Non è sicuramente l’autore più personale, quello formalmente impeccabile, dallo stile inconfondibile; ma di certo è il cineasta che, col suo tocco cinico e sarcastico, ha saputo seguire nel migliore dei modi l’evoluzione della società e del costume del nostro paese durante gli anni ’60 e ’70. E’ stato il regista che ha saputo presagire il boom (con Il vedovo, con Sordi e la Valeri) e del quale poi ha mostrato tutti i suoi effetti sociali. E’ stato il pittore di una borghesia povera di sentimenti ed alienata dal progresso. E’ stato il disc jokey di vent’anni di storia. Lavorava minuziosamente ai suoi film. Le sue opere sono quadri puntigliosi, curati nei dettagli, dalla scenografia ai costumi, dagli oggetti alla colonna sonora. Risi si e ci divertiva a mostrarci sfilate di automobili, di biciclette, di vestiti all’ultima moda; ci raccontava la società commentandola con hit parade musicali che contestualizzavano le vicende nella storia. Così ha fatto ne Il sorpasso, ne L’ombrellone, in Una vita difficile. Quest’ultimo è forse il suo film migliore, una parabola su vent’anni di Storia italiana, in cui il regista ha rinunciato ad un protagonista ‘mostro’ per dare spazio ad un eroe quotidiano sempre coerente con le sue idee.
Alcune sequenze dei suoi film hanno segnato la storia del cinema italiano. Così come i tic di Mastroianni in Divorzio all’italiana di Germi e le supercazzole di Tognazzi in Amici miei di Monicelli rimangono degli spunti indimenticabili del nostro cinema, allo stesso modo non ci potremo mai scordare dei colpi di clacson di Bruno Cortona - Vittorio Gassman.
Dino Risi, nella sua lunga carriera di cineasta, è stato capace di avviarsi per diverse strade narrative: dal film d’argomento storico appunto (pensiamo anche a La marcia su Roma), alla commedia di costume, fino a toccare la commedia nera. Con le sue opere ha rappresentato forse più di altri suoi colleghi lo spirito di un’Italia in costante evoluzione e ha saputo rendere il suo cinema il centro vitale, il cuore della commedia all’italiana, dimostrando nella sua varietà che essa non poteva e non doveva essere cristallizzata in codici fissi.
In una delle sue ultime interviste, Dino Risi aveva dichiarato: "Il linguaggio dei giovani è insopportabile. I miei nipoti vanno avanti a ’puntocom’ e ’vuvuvu’. Io non ho nemmeno il fax. Imbuco sempre le lettere nella cassetta". Se ci pensiamo bene, in queste parole è racchiusa tutta l’ironia del suo cinema, quella critica all’incapacità di usufruire costruttivamente del progresso. A più di novant’anni Risi si era reso conto che si è parlato tanto di evoluzione della società ma che in realtà in essa si è smosso ben poco.
Probabilmente nessuno saprà indagarla con il suo stesso cinismo e raccontarcela con la sua stessa cattiveria. Continueremo a vedere e a rivedere i suoi film. E grazie ad essi continueremo a ridere di noi stessi. Perché in fondo l’Italia è sempre la stessa


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