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Addio a Stan Lee, cantore della superumanità

Pubblicato il 15 novembre 2018 da Stefano Colagiovanni


Addio a Stan Lee, cantore della superumanità

Stanley Martin Lieber, nato a New York il 28 dicembre 1922, , al secolo Stan Lee – nome d’arte che egli stesso coniò, affinché fosse maggiormente riconoscibile e adatto al mercato – é stato celebrato e verrà ricordato come il papà della casa editrice Marvel, nonché uomo dotato di straordinaria visionarietà. Praticamente, un genio.

Ma a Stan Lee, che fin da giovanissimo si era prodigato in svariati lavoretti per sbarcare il lunario – da maschera in un teatro, a comune operaio e aspirante tipografo, fino a guadagnarsi l’ingresso nella fu Timely Comics come addetto al riempimento delle boccette d’inchiostro e tuttofare, prima che egli stesso, un domani l’avrebbe tramutata nella prestigiosa Marvel Comics –, va dato merito di aver impugnato il mezzo-fumetto considerato strumento di semplicistico divertimento per fanciulli e averlo innalzato verso un livello di assoluta completezza e modernità; l’evoluzione della cosiddetta Silver Age dei supereroi è, in gran parte, merito di un uomo che aveva compreso quanto non ci fosse nulla di speciale, a lungo andare, nella specialità di individui dotati di poteri sensazionali. La vera magia, l’elemento straordinario nella fantasia dei supereroi e dei suoi lettori risiedeva nella normalità, nella fallibilità, nella mediocrità insita nella natura umana.

Il passaggio dal suo esordio nel 1941 sulle pagine di Capitan America, alla definitiva consacrazione di inventore di mondi e romanzi popolari universali, fondati su quegli archetipi classici a lui tanto cari e necessari per il completo approfondimento delle sue creazioni, arrivò nel 1961, quando Lee diede vita al gruppetto di supereroi più famoso della storia editoriale marvelliana: I Fantastici Quattro. Un’opera totale, coinvolgente e innovativa, che si discostava intenzionalmente dalla piattezza emotiva e psicologica dei comuni personaggi di fantasia fumettistici dell’epoca, presentando personalità estroverse e ambigue, dall’autorità e sapienza del dottor Reed Richards, alla spavalderia e nobiltà di Johnny Storm, e ancora all’umanità e bontà d’animo del “mostruoso” Ben Grimm/La Cosa, fino alla gentilezza e insicurezza di Sue Storm.

I Fantastici Quattro, costretti a lavorare di squadra per sopperire ai loro difetti e non soccombere alle angherie mosse dal perfido Dottor Destino e soci – quale meraviglia Viktor Von Doom! – furono solo il preludio all’esplosione immaginifica di Lee: nel 1962 diede corpo a Hulk e Thor, il primo un richiamo-elogio al mito del mostro insito nella natura umana, figura chiave della letteratura inglese gotica, il secondo un rifacimento del mito norreno; nel 1963 fu la volta del supergruppo mutante degli X-Men, simbolo multicromato della lotta contro le disuguaglianze, e di Iron Man, un personaggio ultra-moderno nella sua collocazione temporale all’interno del medium, che strizzava l’occhio alla fantascienza e puntava il dito contro le meschine politiche lobbistiche incentrate sulla vendita delle armi.

Ma il più grande successo artistico di Stan Lee fu quello di concepire un supereroe che fosse l’incarnazione di tutte le paure, le speranze, le condizioni di precarietà e la voglia di reagire di tutti i lettori adolescenti: quando Peter Parker venne morso nell’agosto 1962 da un ragno contaminato radioattivamente, Lee sbattè in faccia a tutti i giovani amanti del fumetto la dura realtà delle cose: nessun essere umano è perfetto, nessun individuo è invincibile, tutti noi dobbiamo lottare per difendere ciò che ci è più caro, prima che sia troppo tardi, perché la vita che ci costruiamo è il fragile frutto delle nostre scelte e tutto può sgretolarsi ed essere spazzato via come polvere nel vento. Da un grande potere derivano grandi responsabilità. Eccola la ricerca della normalità, ecco l’uomo che si fa (super)eroe, restando uomo: in questo modo Stan Lee è riuscito negli anni a intaccare indelebilmente la memoria e la cultura popolare di intere generazioni, elogiando la caducità della Meraviglia. Rendendo i suoi supereroi come noi. Spronandoci a divenire noi stessi supereroi, perché il vero potere non sta nel saper volare o arrampicarsi sui muri, ma nella capacità di saper soffrire e superare le difficoltà della vita di tutti i giorni.

Stan Lee, così come tutte le Leggende, verrà ricordato anche per alcune ombre allungatesi sulla sua carriera, perché non esiste il Mito senza la dovuta parte d’umanità, la vera specialità. Verrà ricordato anche per il suo carattere a volte eccessivamente egocentrico, che lo ha portato, nel corso degli anni, a inimicarsi i suoi maggiori collaboratori dell’epoca, come Jack Kirby o Steve Ditko, accreditati, suo malgrado, come co-creatori dei meravigliosi personaggi a cui fu data vita.

Un uomo – “l’uomo”, The Man! – che è riuscito a fondere l’epicità del fantastico e della sua essenza immaginifica, con il realismo storico di un’epoca frenetica, insicura, sfaccettata e in continuo divenire. Stan Lee è stato un prestigiatore del fumetto, una guida per la sua Marvel, un deus ex-machina controverso e sapiente nel cogliere gli aspetti dell’individuo moderno così come i lettori avrebbero desiderato amare e disprezzare. Stan Lee è stato, che dir se ne voglia, un gigante della letteratura del Novecento: non solo popolare, perché cos’è il fumetto se non espressione a suo modo alta, figurata ed empatica di un pensiero e coscienza sociale?

Nel saper vestire a sua volta una maschera, nel riuscire a incarnare alla perfezione il personaggio-icona-Stan Lee, l’uomo con gli occhiali a goccia, il baffo a spazzola e il sempiterno e smagliante sorriso, che da bambino osò scrivere sul soffitto della scuola che frequentava "Stanley is God”, qualche tempo fa dichiarò: «Qualcuno vuole fare un film sulla mia vita, ma mi chiedo come diavolo pensa di fare. Non sono mai stato arrestato, non mi sono mai drogato e sono sposato con la stessa donna da cinquantaquattro anni. Non c’è niente nella mia vita che possa interessare alla gente.» Parole semplici di un uomo straordinario. Un uomo che desiderava diventare un dio, ma che poi ha finito col riderci su.


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