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Carlo Vanzina. La nostalgia per un cinema che non ci sarà più

Pubblicato il 9 luglio 2018 da Antonio Valerio Spera


Carlo Vanzina. La nostalgia per un cinema che non ci sarà più

Ci ha lasciato con discrezione, in punta di piedi, come era solito vivere la sua vita. Non amava stare sotto i riflettori, rimaneva sempre in disparte, senza mai avvertire il desiderio di pontificare, dissertare, spiegare. La celebrità, quella che suo padre Steno e il suo maestro Monicelli mandavano esplicitamente “al diavolo” nel titolo del loro primo film, non è mai stato l’obiettivo della sua carriera artistica. Perché il suo cinema, quello che ha costantemente, senza sosta, realizzato con suo fratello Enrico per quarant’anni, pur avendo tanto di personale, non voleva e non doveva essere “suo”, ma del pubblico.
Da Luna di miele in tre a Caccia al tesoro, Carlo Vanzina ha perseguito un solo fine. Un fine che non è mai stato “fare cinema”, ma “regalare cinema”. Che poi questo cinema incontrasse o meno i favori della critica, poco importava, perché il cinema popolare, quello puro, sincero, quello che non pretende impegno da chi ne fruisce ma che lo richiede solo a chi lo realizza, se ne frega delle stellette sui giornali. Il cinema di Carlo ed Enrico Vanzina era e sarà per sempre così: popolare.
“Ma che vuol dire ‘cinema popolare’!? È un’espressione senza senso, che significa tutto e niente”, pensano e dicono in tanti. E invece non è così. Il cinema popolare è quello in cui l’autore (sì, l’autore) non muove la macchina da presa per “significare”, ma per raccontare; quello che adatta lo sguardo ad una storia e non viceversa; quello che consente allo spettatore di immedesimarsi senza sforzi in un racconto o anche solo in un personaggio; quello che scorre sullo schermo come la vita, evitando di appesantirla o di irrigidirla in schemi e categorie; quello che, proprio grazie alla sua leggerezza e alla sua vicinanza con le nostre esistenze, diventa parte di noi, come un parente o un amico di famiglia.
Carlo Vanzina, come papà Steno, ha dedicato la sua carriera a questo cinema. Sapore di mare, Vacanze di Natale, Yuppies, Amarsi un po’…, Sognando la California sono solo alcuni dei titoli da lui firmati che non sono rimasti nel cuore del pubblico come semplici film, ma che per molti sono e resteranno sempre dei “cari amici”, da portare con sé nelle vacanze, al lavoro, nelle cene fuori, nelle partite di calcetto, nelle feste di Natale, nelle riunioni di famiglia. Non c’è un momento della vita degli italiani, non c’è un tratto della cultura del nostro paese che Carlo, insieme a suo fratello Enrico, non sia riuscito a raccontare sullo schermo. Con occhio disincantato, satirico ma mai deformante, nostalgico ma mai melenso, divertito e divertente ma mai forzatamente volgare. Ha descritto soprattutto Roma, la sua amata Roma, con tutte le sue contraddizioni; ma sotto la sua lente ironica è passata tutta l’Italia, dalla Sicilia fino a Milano. Ha fotografato la graduale degenerazione socio-culturale di tutto lo Stivale, l’ha studiata in silenzio e senza presunzione, restituendola nei suoi film con uno spirito critico sempre lontano dal didascalismo. Ha rappresentato un’Italia truffaldina, disastrata, in crisi morale, senza valori, senza leggi se non quella dell’apparenza, con personaggi figli della contemporaneità ma anche della tradizione, che hanno messo in luce, rifuggendo qualunque tipo di giudizio, tutti i limiti ma anche tutte le bellezze del carattere e della vita italiana.
Ci mancherà Carlo Vanzina, mancherà tanto al cinema italiano. Quella “celeste nostalgia” che avvolge tutti i suoi film, ora purtroppo avvolge anche il suo ricordo. Grazie.


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