Addii - Goodbye Cowboy: è morto Heath Ledger
All’ultima Mostra del Cinema, pochi mesi fa, aveva strappato una risata gioiosa, perfino liberatoria, all’uditorio contegnoso e ultra-selezionato presente alla solenne cerimonia di premiazione, mentre tutto si svolgeva con la consueta fretta e secondo un copione immutato da decenni. L’atletico giovane divo australiano saliva a passi lunghi sul palco e ritirava la Coppa Volpi a nome della connazionale Cate Blanchett, come lui interprete di “uno” dei tanti Bob Dylan possibili (neo-candidata agli Oscar per lo stesso ruolo). La tenuta non era proprio quella che suol definirsi “di gran spolvero”, o delle più raccomandabili considerata l’occasione di gran gala, come si affrettavano a rilevare i commentatori ufficiali: si era mai visto, si pungolavano l’un l’altro, un vip presentarsi sul proscenio in bermuda? E che dire di quell’aria trasandata, dei calzini da clown, di quel copricapo da pescatore: praticamente la negazione vivente di qualsiasi manuale di bon ton. Le signore in abito da sera probabilmente inorridivano tra sé, ma anche loro dovevano arrendersi davanti a un’ostentazione tanto scanzonata e giovanile di nonchalance, a quel look blasé, cedendo ad un sorriso bonario.
In effetti, suggeriva proprio quest’impressione Heath Ledger, a ricordarlo ora, con la mente rivolta all’annuncio shockante della sua prematura scomparsa. Un solitario sempre al braccio di una compagna altrettanto, quanto non più famosa di lui, un’aria esteriormente pacata, eppure spesso protagonista di atti di ribellione. Risale a qualche giorno fa la notizia del tragico decesso di un’altra giovanissima star hollywoodiana: il venticinquenne Brad Renfro, già divo bambino de Il Cliente. Un’eco sinistra, che si allunga ancora, se si ritorna indietro col pensiero pure a quell’altro tentativo di suicidio da parte di Owen Wilson, di cui tanto si scriveva e discuteva sempre nei medesimi giorni dell’ultima Mostra veneziana, incredibilmente funestata dagli eccessi di questi debordanti giovani personalità di Hollywood. Le controparti femminili non sono certo da meno: si pensi a quanto riempiono i tabloid i problemi personali di una Lindsay Lohan, ad esempio.
Pare che negli ultimi tempi Ledger abbia vissuto per lo più a New York, in seguito al recente distacco dalla moglie Michelle Williams (e alla figlioletta Matilda Rose). Il suo corpo esanime, difatti, è stato ritrovato da una massaggiatrice, pare nell’appartamento newyorkese di Mary Kate Olsen (una delle due gemelline, anche loro sempre al centro di scandali per anoressia e droga), accanto ad un flacone di pillole mezzo vuoto. Ma questo è gossip o cronaca e riempie, per il tempo e lo spazio che basta, i titoli di una notizia che nelle prossime ore rimbalzerà da un media all’altro, c’è da scommetterci. Cresciuto in fretta, a detta dello stesso divo australiano soprattutto a causa del prematuro divorzio dei suoi (Heath aveva ancora solo dieci anni), appassionati fan del libro di Emily Bronte Cime Tempestose: il suo nome completo era Heathcliff, come il turbolento protagonista del celebre romanzo. A scuola eccelle negli sport, ma si impegna principalmente nella recitazione teatrale. A soli sedici anni la sua passione per il palcoscenico è talmente divorante e invincibile, da convincere il suo migliore amico a trasferirsi a Sidney per tentar fortuna come attori. Gli inizi, come si dice in questi casi, sono duri, ma poi cominciano ad arrivare, prima alla spicciolata, poi in maniera sempre più continuativa e costante le prime scritture ufficiali. Dapprima si tratta per lo più di produzioni televisive di scarso interesse, poi, finalmente, la grande occasione in un film hollywoodiano: 10 Cose che odio di te. Solo all’apparenza sembrerebbe l’ennesima commediola sentimentale con e per liceali (ma Moccia è, fortunatamente, lontano anni luce), mentre si tratta a tutti gli effetti di una brillante rielaborazione del testo shakesperiano La Bisbetica Domata, che porterà gloria e fortuna anche alla sua partner sul set, Julia Stiles.
Hollywood tenta da allora, con la miopia che le è propria, di imbrigliare il recalcitrante puledro, imponendogli una sorta di metaforica staffa dorata, donandogli un’aria ripulita e schiarendogli la zazzera corvina in un più “ripulito” (leggi “fasullo”) aspetto da principino biondo. Ma il lampo degli occhi e le celebri fossette che compaiono inaspettatamente ai lati delle sue labbra solitamente imbronciate, tradiscono un temperamento più riottoso di quanto gli addetti ai casting hollywoodiani vogliano far credere. In pochi anni, conquista molte partner sul set, spesso molto più “anziane” di lui: da Heather Graham a Naomi Watts.
Poi Heath supera il provino per il ruolo del figlio maggiore di Mel Gibson ne Il Patriota: opera becera, ma che gli porta una discreta visibilità. E bisogna ammettere che, quando è in scena con Gibson, il giovane Heath ruba ripetutamente la scena al più blasonato collega (il quale oggi dirama il suo personale messaggio di cordoglio, definendo il “figlio” sul set “una promessa della recitazione”). In seguito arriva un ulteriore rielaborazione in salsa moderna di una vicenda dal “sapore antico” (lo è l’ambientazione medievale): altro grande successo per teen-ager, dei quali Heath è ormai un idolo indiscusso. Negli anni successivi conferma e approfondisce l’immagine di eroe neo-romantico nel polpettone Le Quattro Piume e nel western “televisivo” Ned Kelly (poco visto da noi).
Il 2005 è l’anno della svolta, la sua grande stagione cinematografica. La Mostra del Cinema di Venezia promuove oculatamente questo giovane interprete di belle speranze, rendendolo protagonista di ben tre red carpet: tante sono le pellicole che accompagna quell’anno l’ombroso attore (sempre meno amato dai giornalisti a causa del suo carattere scontroso, in modo inversamente proporzionale alla sua popolarità crescente tra i e, soprattutto, le fans). I tre film di cui si diceva sono la non perfettamente riuscita sortita fantasy di Gilliam I Fratelli Grimm, il Casanova di Hallstrom (ancora nei panni di uno sciupafemmine) e, infine, il ruolo che ora possiamo definire “di una vita”: l’introverso cowboy innamorato che rifiuta la propria omosessualità in Brokeback Mountain. Una parte che molti giovani attori, ad Hollywood, non si erano sentiti di accettare, mentre Ledger, con autentico spirito da westerner, non vede l’ora di cimentarsi con quella che riconosce immediatamente come una sfida interpretativa. Si tratta di un personaggio le cui asperità caratteriali sono rese con grande sensibilità e da una recitazione trattenuta e sofferta, di rara maturità per un attore di soli ventisei anni. Solo la prova maiuscola di Phillip Seymour Hoffman in Capote può strappargli dalle mani l’ambita statuetta degli Oscar quale miglior interprete dell’anno.
Christopher Nolan, replicando a qualche obiezione sollevata a proposito della scelta di Ledger come novello Joker (dura sostituire un mostro sacro come Jack Nicholson, in una delle sue prove più ricordate, tra l’altro… ) rispondeva che Ledger era un “attore talentuoso e pronto alle sfide”. E sarà stato indubbiamente esaltante, per lui, sempre scritturato come personaggio positivo e rassicurante, calarsi finalmente nei panni di un cattivo a tutto tondo!
Ha scalato in pochi anni le colline di Hollywood, il giovane divo australiano, andando dritto e indisturbato per la sua strada, in una corsa trafelata. L’immagine solitaria del cowboy che si allontana verso un orizzonte sconosciuto, è quella che, probabilmente, meglio gli si confa: taciturno, meditabondo, un po’ scontroso. Di questo ancora e per sempre “giovane di belle speranze” ci rimane purtroppo solo un pugno di film, non tutti memorabili. Un lascito che pervade di amarezza, a considerare come questo talento versatile e atletico, un po’ un nuovo Erroll Flynn, non sia stato incanalato in produzioni all’altezza. Con la sola, vistosa eccezione dell’anomalo western di Ang Lee. Un film che si può amare o odiare, come è stato e continua ad essere, ma questo è il bello del cinema (ci siamo divisi anche qui, sulle pagine della nostra rivista, sui giudizi di merito alla pellicola). Ma sull’interpretazione di Ledger, il consenso è stato, da subito, pressoché unanime. E non lo si viene certo ad ammettere per la prima volta ora qui, per piaggeria. Heath si apprestava a girare il nuovo film di Terry Gilliam, The Imaginarium of Doctor Parnassus: sarebbe stata un’occasione di rivalsa per entrambi, dopo il flop de I Fratelli Grimm, una produzione certamente non all’altezza della bravura dei due. L’aura maledetta continua a perseguitare l’autore di Brazil...
Della schiera di stelle australiane che hanno fatto fortuna ad Hollywood nell’ultimo decennio – assieme a Nicole Kidman, Russell Crowe, Cate Blanchett e Guy Pearce – è stato il più giovane, oltre a quello che ha bruciato le tappe della fama nel minor tempo. E il primo, ora, a spegnersi.
Più che come cavaliere dalla scintillante armatura (immagine sbeffeggiata dalla stessa star, proprio ne Il Destino di un Cavaliere), preferiamo pensarlo come un "non addomesticato" cowboy, che cavalca da solo, indisturbato, allontanandosi nostalgicamente contro un immaginifico fondale di sogno. E che sull’iniziativa di protesta di alcuni fanatici religiosi che hanno proclamato picchetti contro "il pervertito" Ledger, proprio nel giorno dei funerali dell’attore - a causa delle ragioni misteriose, e certamente non propriamente cristalline della sua morte - cali uno sdegnoso silenzio. Amen.