Addii - Massimo Girotti: un talento che ci mancherà

Con il suo ultimo film, La finestra di fronte di Ozpetek (appena finito di girare) Massimo Girotti ha chiuso, in punta di piedi e con gentile signorilità, una carriera che si è protratta per più di sessanta anni segnando alcune delle tappe più significative della storia del nostro cinema. E questo defilarsi con leggerezza, da scene calcate veramente fino all’ultimo momento, è il segno estremo di un contrappasso inaspettato, un destino strano per un attore che era stato abituato, nel corso di una carriera estremamente multiforme passata tra i furori del cinema d’autore più controtendenza e le leggerezze di un cinema più commerciale (ma pur sempre ampiamente spettacolare), a far sempre e comunque parlare di sé. Nella scelta dei suoi Autori, infatti, dimostrò spesso una chiaroveggenza illuminante dal momento che prese parte sia al folgorante esordio di Visconti con Ossessione (1943) sia a quelli meno incisivi (per i film), ma fondamentali (per la Storia del cinema) di Roberto Rossellini con Un pilota ritorna (1942) e di Michelangelo Antonioni con Cronaca di un amore (1950). Mentre, nella scelta dei suoi film, l’attore seppe sempre orientarsi verso pellicole sicuramente di genere, ma comunque capaci di far brillare ora le sue doti attoriali (legate sempre ad un registro passionale ed introspettivo al tempo stesso), ore le sue doti atletiche e ginniche (fu uno dei primi divi “belli” del nostro cinema). Cosicché a fianco di pellicole come quella di Blasetti che ebbe il grande merito di lanciarne la carriera (La corona di ferro del 1941) possiamo trovare titoli come Gli argonauti (1960), Romolo e Remo (1961) o Spartaco Il gladiatore della Tracia (1953, prima di Kubrick). Ma l’attore, nato a Mogliano nell’ormai lontano 1918, seppe anche dimostrare una notevole dose di coraggio puntando su registi scomodi che si apprestavano a realizzare pellicole con personaggi altrettanto scomodi come il borghese folle che abbandona il mondo denudandosi come San Francesco in Teorema di Pasolini (1968). Mentre, appena un anno dopo e sempre sotto la regia di Pasolini, riuscì a coniugare la sua predisposizione per un genere come il peplum (cui prese parte con titoli spesso minori) con le ambizioni del cinema d’autore, interpretando la parte di Creonte in quell’antipeplum che è la Medea (in cui affiancò la Callas). L’uomo che è morto, nella notte del 5 gennaio a Roma, per il sopravvenire di una crisi cardiaca era, però, prima di tutto un grandissimo professionista. Probabilmente non un attore di grandissimo talento (anche se la carica vibrante di molte sue interpretazioni starebbe a dimostrarci il contrario), ma un serio lavoratore capace di profondere una passione notevole nell’incarico che era sua dovere portare a compimento. Proprio per questo, nell’arco della sua lunga carriera Girotti ha passato in rassegna tutti i possibili registri interpretativi che il Cinema aveva da offrirgli e ha incontrato quasi tutti i più grandi registi italiani del secondo dopoguerra: da Mario Soldati (che segnò il suo esordio con il Dora Nelson del 1939) a Vittorio De Sica (La porta del cielo del 1944), da Giusepe De Santis (Caccia tragica del 1946) a Pietro Germi (In nome della legge del 1949, una delle sue prove migliori). Ed è proprio la sua aria da persona motivata ed appassionata sempre ed in ogni occasione a garantirgli anche il ruolo di Roberto Ussoni in Senso (1954) sempre di Visconti (per il quale resterà sempre uno degli attori feticcio). Un ruolo, questo, certo non fondamentale, ma che finisce per legare definitivamente il suo volto alla dimensione più eroica del cinema neorealista e realista italiano. Su questa dimensione da icona di una passata età dell’oro Bernardo Bertolucci costruisce, per lui, proprio all’inizio del periodo più nero della sua carriera (quel lungo ventennio tra gli anni ’70 e ’90 che lo vede impegnato per lo più solo in sporadiche comparsate), il personaggio dell’amante della moglie in Ultimo tango a Parigi (1972). E su questa falsariga sono immaginati anche i cammeo affettuosi e le partecipazioni dell’attore in film come Passione d’amore (1981) di Ettore Scola e, soprattutto il Benigni de Il mostro o l’Ozpetek del suo ultimo film che, non a caso, ritorna a quel periodo bellico che lo vide affermarsi come attore e, soprattutto come uomo. Un talento che ci mancherà.
[gennaio 2003]
