Addii - Peter O’Toole

Potrebbe essere ricordato come l’attore che non vinse mai un Oscar pur avendo ricevuto il record di candidature (superando persino Richard Burton).
Potrebbe essere ricordato come il memorabile Lawrence d’Arabia, film che lo fece salire alla ribalta internazionale.
Potrebbe essere ricordato per le sue doti di attore grottesco, capace di superare ogni realismo attraverso travestimenti e stili caricaturali dei personaggi che ha interpretato.
Potrebbe essere ricordato per la personalità particolare e ribelle, per il vizio del bere e le sue irrinunciabili Gauloises.
O’Toole nasce in Irlanda il 2 agosto del 1932, figlio di un girovago allibratore.
Cresciuto a Leeds in Inghilterra, compie gli studi presso la scuola cattolica, mettendo ben presto in discussione gli insegnamenti che ha ricevuto. Prova la strada del giornalismo, fino a quando nasce in lui la passione per la recitazione attraverso la visione di King Lear interpretato da Michael Redgrave.
Nel 1954 entra nella Royal Academy of Dramatic Art. Conclusa l’accademia recita in più di cinquanta ruoli (tra Waiting for Godot, Pygmalion, Hamlet) e nel 1959 a Londra viene diretto in The Long and the Short and the Tall dal regista Lindsay Anderson. Se l’esperienza teatrale ha scoperto il suo talento, attraverso il cinema è possibile accrescerlo.
Nel 1960 ha la opportunità di avere una piccola parte in The Savage Innocents di Nicholas Ray e successivamente una più importante in The Day They Robbed the Bank of England di John Guillermin.
Nel 1962 avviene la svolta come attore di cinema: ottiene la parte di T. E. Lawrence nel colossal Lawrence of Arabia di David Lean. Il produttore Sam Spiegel lo preferisce a Marlon Brando per "la maggiore sensibilità e dinamicità, che non aveva mai visto in un attore".
Il ruolo entrato nella storia del cinema e nell’immaginario di quegli anni è un ruolo controverso, non sempre chiaro, che gli permette di ottenere la prima nomination all’Academy (vinto quell’anno invece da Gregory Peck).
Nel 1964 è l’anno di Becket (diretto da Peter Glenville) nel quale interpreta Re Enrico II d’Inghilterra accanto a Richard Burton, parte che gli permette di ricevere la seconda nomination (vinto da Rex Harrison per My Fair Lady).
Diventa a tutti gli effetti una celebrità internazionale, dunque richiestissimo dalle produzioni. Seguono: Lord Jim (1965), un fallimento; What’s New, Pussycat? (1965); How To Steal a Million (1966) con Audrey Hepburn; The Bible: In the Beginning (1966) di John Huston; The night of the Generals (1967), in compagnia di Omar Sharif; Great Catherine (1968).
Poi Lion in the Winter (1968), per la seconda volta nei panni di Enrico II, in coppia con Katherine Hepburn che gli vale l’ennesima "chiamata" all’Academy (quell’anno vince Cliff Robertson). La stessa cosa succede quando veste i panni di un insegnante di scuola in Goodbye, Mr. Chips (1969) ottenuto in quell’anno da John Wayne in True Grint.
Altre pellicole da ricordare: Murphy’s War (1971) con la moglie Siân Phillips e Philippe Noiret, Man of La Mancha (1972) con Sofia Loren, Rosebud (1975) di Otto Preminger, Man Friday (1975).
1972 è l’anno di un padrone impazzito per la pellicola The Ruling Class, che gli fa perdere nuovamente l’occasione di vincere il suo primo e meritato premio, confronto forse impari con un personaggio memorabile come Vito Corleone di The Godfather, interpretato da Marlon Brando.
Nel 1980 è un mostruoso regista cinematografico in The Stunt Man, che non riesce a reggere il confronto con un altro volto memorabile di quegli anni, Robert De Niro alias Jake LaMotta, che vince la statuetta con il film Raging Bull di Martin Scorsese.
Nello stesso anno O’Toole sostiene un’interpretazione mediocre del Macbeth, diretto dal filmmaker Bryan Forbes, al storico Old Vic di Londra. La stessa critica del tempo sottolinea aspramente la monotonia recitativa di O’ Toole.
All’attività cinematografica, che rimane un elemento sempre presente nella sua carriera (nel 1982 ottiene la sua settima candidatura all’Oscar con My Favourite Year mentre nel 1987 interpreta Reginald ’R. J.’ Johnston ne L’ultimo Imperatore di Bernardo Bertolucci), alterna la presenza in numerosi film-tv e serie televisive nell’emittente BBC e in quella americana ABC (Strumpet City, Masada, I viaggi di Gulliver, Casanova e I Tudors nel quale interpreta l’intimità e decadenza di Papa Paolo III, tanto da creare alcune analogie interpretative con Maurice del film Venus del 2006, sua ultima nomination all’Academy, l’ottava).
Sposato dal 1960 al 1979 con l’attrice Siân Phillips, dalla quale, oltre a scontri e riapacificazioni, ebbe due figlie Kat e Pat, segue il matrimonio burrascoso, nel 1983, con Karen Brown, dalla quale ebbe un figlio di nome Lorcan.
Chiamato nel 2003 dall’Academy a ritirare l’Oscar alla Carriera, inizialmente rifiuta, convinto all’età di settantadue anni di essere ancora pronto a ottenere il riconoscimento attraverso un ruolo ancora indimenticabile, come il suo Lawrence. Convinto dai figli, ritira il premio consegnato, in quell’anno, dall’attrice Meryl Streep.
All’inizio degli anni Novanta scrive l’autobiografia dei suoi primi anni di vita intitolata Loitering With Intent, un racconto che racchiude momenti lucidi e meno della sua infanzia e adolescenza, anedotti sulle sue performance teatrali alla Royal Academy.
Per molti rimarrà per sempre l’irlandese Lawrence d’Arabia dagli occhi azzurri.
Per noi un attore molto prolifico da riscoprire proprio grazie ai suoi film.
