Addii - Philip Seymour Hoffman
Ci sono attori cui basta un’alzata di sopracciglio e uno sguardo sghembo per illuminare una scena e svelare un carattere, restando inaccessibili nell’atto stesso in cui, all’apparenza, si svelano completamente. L’impacciato Scott J. Di Boogie Nights-L’altra Hollywood (1997), il frustrato Allen di Happiness (1998), lo squinternato Lester Bangs di Quasi Famosi (2000), lo sconvolgente Capote di Truman Capote - A sangue Freddo (2005), o il carismatico predicatore di The Master (2012). A poche ore dalla sua prematura scomparsa, a soli 46 anni, per un’overdose di eroina, ripeterlo sembra già banale, ma Philip Seymour Hoffman probabilmente è - è stato - il più grande attore della sua generazione. Un interprete fulminante e geniale, dotato di una tavolozza cromatica infintamente screziata e capace di continui cambi di tono e di registro. Con il volto arrossato incorniciato da sottili capelli biondi e la fisicità lontana dai canoni hollywoodiani, Hoffman è stato spesso il comprimario di lusso di interpreti ben più avvenenti. Troppo bravo per restare imprigionato nel limbo dei caratteristi, ha saputo impadronirsi della scena, in una lunga corsa fino al ruolo di una vita, quel Truman Capote che gli regalò l’Oscar come miglior attore protagonista nel 2005. L’inizio, dopo la scuola di arte drammatica a New York, è sotto il segno del cinema indie, con l’ipnotico Triple Bogey on a Par Five Hole (1991), firmato dal regista israeliano Amos Poe. Passa un anno, e Hoffman approda alle grandi produzioni, con un ruolo di contorno nel remake di Profumo di Donna (Martin Brest, 1992). E’ il sodalizio con Paul Thomas Anderson, cominciato sul set di Sydney (1996) e mai più interrottosi, a offrirgli uno dei primi ruoli di rilievo, quello del timido omosessuale, innamorato del divo porno Dirk Diggler, nel carnevale notturno del cult Boogye Nights-L’altra Hollywood. Torneranno a lavorare insieme nell’aggrovigliato e seducente Magnolia, dove Hoffman sarà un infermiere dal cuore d’oro, e nel delizioso e malinconico Ubriaco d’amore fino, appunto, al controverso The Master. Qui Hoffman è Lancaster Dodd, predicatore carismatico e manipolatore ispirato a Ron Hubbard, impegnato in un duetto magistrale con Joaquin Phoenix, reduce di guerra ignorante e abbruttito dall’alcool. In mezzo c’è spazio per la commedia vintage I love Radio Rock, l’action movie Mission Impossible III, il prequel de Il silenzio degli Innocenti (Red Dragon) e l’unica (al momento) prova registica del geniale sceneggiatore Charlie Kaufman (per lui Hoffman è l’ossessivo regista teatrale di Synecdoche-New York). Nel miglior Spike Lee della scorsa decade (La venticinquesima ora), Hoffman diventa Jacob Elinsky, introverso insegnante innamorato di una sua allieva undicenne mentre, ne Il dubbio, veste i panni dell’ambiguo e gioviale sacerdote che sfida l’inflessibile Meryl Streep. Acclamato performer anche sui palchi teatrali (vince un Tony Award nel 2000), macina un film dopo l’altro. Recita per i Coen (Il grande Lebowsky), Solondz (il già citato Happiness), Mamet (Hollywood, Vermont), ma non disdegnerà partecipazioni a Blockbuster, come il secondo episodio (2013) della saga di Hunger Games. E’ il crudele e cinico Andy, che organizza una rapina nella gioielleria dei genitori, nel disperato Onora il padre e la madre, ultima prova di Sidney Lumet (2007), o il baffuto agente della CIA Gust Avrakotos in La guerra di Charlie Wilson. Dopo un’incursione nella regia – accolta con relativa freddezza – con Jack Goes Boating, Hoffman è il consulente politico, mentore e poi nemico di Ryan Gosling nel presidenziale Le idi di Marzo (2011), diretto da George Clooney. Nel 2005, l’amico d’infanzia Bennett Miller (con cui tornerà a collaborare qualche anno dopo, per L’arte di Vincere) gli offre l’occasione decisiva, con il ruolo di Truman Capote in Truman Capote-A sangue Freddo. Hoffman si mimetizza con l’autore di Colazione da Tiffany, ricalcandone i gesti e le ossessioni, cogliendolo al giro di boa segnato dal romanzo-reportage "A sangue Freddo", che ripercorre le vicende dell’assassinio di un’intera famiglia nel Kansas degli anni ’50, trasformando per sempre l’esistenza dissipata dell’eclettico e irriverente scrittore di New Orleans. Un’interpretazione fulminante. L’Oscar arriverà veloce, insieme a una manciata di altri premi. Voce in falsetto e capelli pettinati all’indietro, il Capote di Philip Seymour Hoffman è irritante e commuovente, comico e tragico nella stessa inquadratura. Come la vita.