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Al di qua

Pubblicato il 11 luglio 2016 da Alessandro Izzi


Al di qua

Nel 1961, grazie al genio di Pierpaolo Pasolini, allora romanziere solo prestato al cinema, la borgata romana scopre di poter contenere, grazie ai contrasti della fotografia in bianco e nero, il senso ineluttabile di un morality play.
Il balzo in profondità che passa dalla cronaca al mito è compiuto grazie alla Passione secondo Matteo di Bach che commenta, con la potenza severa dei suoi cori, una scena di pestaggio.
Nella banalità di un derelitto che picchia un altro derelitto, Pasolini sente scorrere potente il senso del Sacro. Con sguardo francescano percepisce con forza come proprio lì, proprio in quelle cose che l’occhio borghese non vuole vedere e che anzi allontana con disgusto perbenista, sta il valore del calvario e il senso della croce.
A cinquantacinque anni di distanza il gesto pasoliniano ritrova la strada del cinema nel nuovo titolo di Corrado Franco, Al di qua.
Quello che, però, per il regista di origini friulane era il risultato di una sublime sintesi di opposti che respirava nella destabilizzazione di un momento destinato all’eterno, per Corrado Franco è, invece, cifra strutturale sulla quale costruire tutto un film.
A Torino, sotto le arcate del corso principale, a un passo dalla Mole, o nelle periferie abbandonate e fatiscenti, vivono i senza tetto. Alcuni si appoggiano alle strutture assistenziali. Altri si addormentano appena poggiano il capo sul selciato.
Sono di varie provenienze. Alcuni anche di fuori dell’Italia, con l’aggravio di peso di storie che riguardano l’emigrazione o il ricordo terribile dei conflitti che hanno macchiato di sangue i Balcani.
Tutti sognano un ritorno alla normalità. Per la maggior parte di loro il degrado comincia con la depressione per la morte dei genitori, con i quali avevano lavorato, condiviso case ed emozioni e che in alcuni casi hanno visto morire per lunghe malattie debilitanti che si sono mangiate tutti i soldi messi da parte da una vita.
Corrado Franco mette questi derelitti al centro del discorso e compone una meditazione in forma di oratorio sacro sul loro destino. Lo aiutano, oltre alle interviste forti e alla musica di Bach anche le parole che Rilke ha dedicato ai barboni, ai poveri, ai relitti del vivere sociale che ci fanno da specchio e nei quali dobbiamo imparare a riconoscere noi stessi.
Trionfo di sguardi in macchina, Al di qua si costruisce su una parabola precisa che, dalla prima intervista dell’ex combattente che dichiara di non credere più in Dio, cede il posto ad una mesta processione nella cappella dell’ospedale, unico luogo a meritare, in fotografia, l’uso del colore. E si conclude con una perorazione che è anche preghiera.
Il pericolo della deriva estetizzante nella raffigurazione del mondo dei più poveri è sempre dietro l’angolo e non sempre ci sembra che il regista riesca a liberarsi dell’ingombro di un eccesso di poesia nel dire e nel far dire.
Ma Al di qua ha comunque il merito di obbligarci a guardare fino in fondo nel buio del nostro rimosso sociale. E ci lascia con la percezione di quanto spesso ci aggrappiamo ad occhi ciechi nel nostro muoverci tra le strade del mondo.


(Al di qua); Regia e montaggio: Corrado Franco; fotografia: Alessandro Mattiolo, Corrado Franco, Angelo Santovito, Marco Vernetto; interpreti: Rosario Battaglia, Cosimo Cavallo, Constantin Cazan, Michelangelo Chiariglione, Antonino Fazzari, Gerlando Ingoglia, Giancarlo Levo, Emanuel Mladen, Paolo Pessot, Riziero Lorenzo Ruggiero, Rodolfo Spagone, Davide Varetto e Ali Abousaoud, Jetti (Giacomo) Abderrazak, Costantin Baciu, Luana Bello, Mihai Blanaru, Petru Bors, Vincenzo De Leo, Marcello Di Perna, Nicola Di Tommaso, Milea Dumitrache, Abderrahim Elhaya, Oziegbe Enoma, Maurizio Fanizza, Baicu Gelu, Antonino Giordano, Angela Marotta, Valentino Milea, Abderrahim Naji, Maurizio Ruffo, Bertino Sgualdo, Elisabetta Stuppia, Ioan Tenie, Anna Maria Virdò. INFERMIERE: Gian Paolo Marta; produzione: SHERPA FILM con il sostegno della TORINO PIEMONTE FILM COMMISSION; origine: Italia, 2016


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