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American Crime Story: The People v. O.J. Simpson (Stagione 1) - Teste di serie

Pubblicato il 15 aprile 2016 da Vera Viselli


American Crime Story: The People v. O.J. Simpson (Stagione 1) - Teste di serie

American Crime Story (spin-off di American Horror Story) ripercorre tutte le tappe processuali della vicenda, facendo riferimento al libro The Run of His Life: The People v. O.J. Simpson, scritto dall’avvocato Jeffrey Toobin. Il quale, per la cronaca, ritiene O.J. colpevole (e se qualcuno ha visto The Jinx, sì, il senso è un po’ lo stesso per Durst e “Juice”): il sangue di Simpson era sulla scena del crimine, c’erano impronte di scarpe insanguinate del suo stesso numero, c’era altro sangue nella sua Ford Bronco e sul guanto trovato in casa. Per non parlare delle ripetute violenze subìte da Nicole Brown. Le prove potevano essere schiaccianti per una normale persona di colore, ma uno dei problemi principali era la statura dell’imputato, un grande eroe del football, ed il mancato ritrovamento dell’arma del delitto - ed ecco un fatto curioso: i primi giorni di marzo di quest’anno la polizia di Los Angeles ha annunciato che un coltello rinvenuto casualmente da un operaio edile durante i lavori di demolizione dell’allora casa di O.J., nel 1998, poteva essere l’arma del delitto. Il coltello era stato consegnato ad un agente di polizia che ci ha pensato per ben 18 anni prima di consegnarlo come prova (una prova poi rivelatasi inconcludente e non attinente a quei fatti).

Qualcuno potrebbe pensare si tratti di un’operazione di marketing per pubblicizzare la serie, cavalcando l’onda dell’inaffidabilità della polizia americana, già messa in luce grazie all’agente Fuhrman, che durante il processo si rivelò essere un fanatico nazista con la tendenza a ripetuti insulti razziali nei confronti delle persone di colore, nonché un amante delle torture verso i sospettati dei suoi casi. Ecco, questo è uno dei tanti motivi per cui il caso processuale (inizialmente a prova di bomba, se si pensa alle prove di sangue e Dna) diviene sempre più problematico e meno chiaro, trasformandosi - come la serie stessa - in un processo emotivo e mediatico. È uno dei primi procedimenti penali ad andare in diretta tv, sotto la luce non solo della legge ma dei riflettori, gettando le basi della nascita e dell’ascesa del reality, con degli echi che arrivano fino ai giorni nostri, se pensiamo al caso-Cosby. Perché? Perché O.J. Simpson è un semidio sportivo, è l’uomo di colore che ce l’ha fatta ed è talmente famoso da trascinare nella notorietà gli stessi avvocati di accusa e difesa, trasformandoli inaspettatamente in veri e propri bersagli dell’opinione pubblica. A tal proposito, ne sa qualcosa il procuratore Marcia Clark (Sarah Paulson), messa alla gogna dalla ‘società dell’immagine’ proprio per via della sua immagine, dei suoi vestiti non alla moda e del suo taglio di capelli. Il suo è uno dei personaggi più riusciti: unica donna, si batte ardentemente risultando la più pura, la più umana e la meno egoista. Quando la sua fiducia in se stessa inizia a frantumarsi sotto le sferzate dei tabloid, che la mettono in discussione come donna e come madre - e forse a qualcuno non sfuggirà come queste particolari percezioni non siano molto cambiate, da allora - inizia a frantumarsi anche il suo processo, trascinato nella melma dall’inaccurata assunzione delle prove. Marcia rappresenta appieno il punto di forza della serie: l’umanizzazione dei tre avvocati (lei, Christopher Darden e Johnnie Cochran) e l’esplorazione delle interazioni tra razza, fama e classe sociale.

Darden, scelto dall’accusa perché di colore, è messo ko da quel famoso guanto che O.J. prova ad indossare in tribunale e che si fa entrare a fatica, mentre Cochran (Courtney B. Vance) si afferma man mano come il protagonista assoluto. Nel libro di Toobin viene definito “brillante ma mostruoso” e nella serie il suo personaggio gioca esattamente su questi due livelli: da un lato c’è l’uomo che si vede nei nastri processuali, dagli occhi gelidi che bucano lo schermo, da vero personaggio televisivo che si rispetti. Dall’altro c’é l’immaginaria caricatura popolare, di stampo un po’ razziale, che arriva ad ipnotizzare letteralmente giudice e giuria, rendendolo più che un uomo un camaleonte.

L’episodio finale inizia con Cochran che aiuta O.J. a vestirsi per quello che è l’ultimo atto, e le due battute che si scambiano (O.J. gli chiede: “Come sto?” e lui gli risponde: “Come una star”) riassumono così suntuosamente l’esito cui si va incontro quando si processa un semidio. Simpson, da semplice campione sportivo si è trasformato in una star. Un processo ascendente che risulta però inversamente proporzionale a quello dell’amico Robert Kardashian (David Schwimmer): inizialmente presentato come l’unico amico fidato sul quale Simpson può contare - da evidenziare la sequenza in cui Kardashian porta i figli in un fast food e, per spiegargli il motivo per cui le persone lo riconoscono, dice: “Siamo Kardashian. E in questa famiglia essere una brava persona e un amico fedele è più importante che essere famoso. La fama è fugace, vuota e non conta niente se non si ha un cuore virtuoso” (un consiglio che le sue ben note tre figlie non hanno proprio preso alla lettera) - inizia a vacillare di pari passo con la stessa azione legale, che mentre arriva ad assolverlo agli occhi del mondo intero le rende colpevole agli occhi di Kardashian, che decide di lasciarlo definitivamente da solo proprio mentre O. J. è circondato da decine di persone, durante la festa per la sua liberazione. Infine, c’è l’O.J. di Cuba Gooding jr.: il suo breve discorso finale in tribunale, una sorta di Ave Maria dal valore alquanto discutibile ma innegabilmente intriso di drammaticità nella sua versione reale, viene reso dall’attore attraverso una performance di alto nervosismo, quasi a dimostrare un evidente senso di colpa misto ad un trauma mentale. Se si va riguardare il discorso del vero Simpson, ci si accorge di come nessun attore sarebbe stato capace di offrire quella stessa profondità di brividi. Come scrive Vinson Cunningham sul New Yorker, “alcune voci, anche se in mano all’artista più sicuro, sapranno sempre resistere alle loro riproduzioni,. Questo è il modo in cui sappiamo che dureranno”. Così com’è destinato a durare il mistero su tutta questa vicenda, così triste e tetra. Un mistero che neanche lo show della Fox si è sentito di sciogliere.


(American Crime Story: The People v. O.J. Simpson); genere: drammatico; sceneggiatura: Scott Alexander e Larry Karaszewski; stagioni: 1 (IN CORSO); episodi prima stagione: 10; interpreti: Cuba Gooding, Jr., Sarah Paulson, John Travolta, David Schwimmer, Courtney B. Vance, Sterling K. Brown, Kenneth Choi, Christian Clemenson, Bruce Greenwood, Nathann Lane; musica: Mac Quayle; produzione: Scott & Larry Productions, Color Force, Ryan Murphy Productions, FXP (FX Networks, LLC), Fox 21 Television Studios; network: Fox (U.S.A., 2 febbraio-5aprile 2016), Fox Crime (Italia, 6 aprile-8 giugno 2016); origine: U.S.A., 2016; durata: 42’ per episodio; episodio cult prima stagione: 1x08 – A jury in jail


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