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Speravo de morì prima (Miniserie) - Teste di Serie

Pubblicato il 6 aprile 2021 da Stefano Colagiovanni
VOTO:


Speravo de morì prima (Miniserie) - Teste di Serie

QUARANT’ANNI

Nata, concepita e realizzata in un batter d’occhio – la miniserie venne, appunto, annunciata solo a luglio 2020 -, Speravo de morì prima, basata sulla biografia Un capitano, scritta a quattro mani da Paolo Condò e dallo stesso Francesco Totti, è senza troppi giri di parole un’operazione televisiva furba e intelligente: furba e intelligente perché si aggancia, certo anche in maniera coraggiosa, ma comunque a suo modo “calcolata”, all’onda lunga del successo di Mi chiamo Francesco Totti, l’egregio documentario diretto da Alex Infascelli, uscito al cinema nello scorso mese di ottobre per soli tre giorni e poi non solo riproposto in sala, ma addirittura lanciato su Sky Cinema con tutti i crismi riservati all’evento dell’anno. E se si pensa ai mesi difficili che anche il cinema sta vivendo, come attaccare in modo pregiudizievole tale spirito di iniziativa?

Se, però, il documentario di Infascelli non solo restituiva agli occhi dello spettatore lo spirito del campione-eterno bambino e il dolore sentimentale per lo scadere inevitabile del tempo a sua disposizione come professionista, abilmente intersecato a rimarcare l’importanza delle immagini in movimento come custodi di un tempo che fu e reiterabile solo attraverso la rivisitazione e la riproposizione delle stesse, la miniserie ideata da Stefano Bises e Michele Astori e diretta da Luca Ribuoli sfrutta un registro totalmente differente, focalizzata a raccontare Francesco Totti in chiave molto più personale, seguendo un percorso che si avvicina spesso alla fiction nostrana. Fortunatamente, Speravo de morì prima non scende mai (del tutto) a compromessi con la banalità dello spettacolo offerto dalla serie di eventi narrati, grazie, paradossalmente, al tono stesso scelto per raccontare il quarantesimo anno di età del simbolo della squadra della città eterna: a iniziare dalla performance di Pietro Castellitto, sicuramente caricaturale esteticamente, ma bravo nel cogliere lo spirito fanciullesco, innocente e guascone del Capitano, toccando diversi aspetti del mondo privato tottiano – dal rapporto amorevole con i genitori, alle minime rimpatriate con il cugino e i pochi amici di sempre, fino al romance vero e proprio, che si sublima nel matrimonio con la complice-compagna Ilary Blasi (Greta Scarano); Speravo de morì prima propone un intrattenimento solare, nel suo andamento verso un crepuscolo sportivo, e nostalgico, che apparirà caro ai tifosi romanisti e, senza alcun dubbio, agli amatori di un mondo del calcio che non esiste più. Certo che la miniserie trae enorme giovamento dall’inserimento di alcuni personaggi tanto sopra le righe da sembrare intenzionalmente provocatori: su tutti il Luciano Spalletti interpretato con trasporto da Gianmarco Tognazzi, ovvero il cattivo di cui la serie aveva bisogno, uomo e professionista “spezzato” dalla mancanza di affetto e solidarietà – a suo dire - da parte di Totti nel momento del suo primo esonero da Roma e dalla delusione di non essere riuscito a portare il quarto scudetto nella Capitale; così un Antonio Cassano (Gabriel Montesi) reimmaginato come una sorta di grillo parlante cinico, una sbiadita identità oscura dello stesso Totti, sempre presente e nascosta, pronta a uscir fuori nei momenti di maggior indecisione o tristezza.

Eppure, superato l’appagamento del “dietro le quinte sportivo”, appannaggio dei tifosi e degli amanti del calcio, la miniserie prodotta da Sky risulta pedissequa nel suo svolgimento, unicamente preoccupata ad alternare per accumulo sempre più scene incentrate su quell’unico nodo narrativo che è lo scorrere del tempo, tralasciando in maniera superficiale alcuni personaggi secondari utili a raccontare ambiente romano e contesto sportivo con maggior attenzione per i dettagli; nessuna traccia, per esempio, del peso di un’eredità costretta al passaggio di consegne, perché se il personaggio di De Rossi appare più come un’abituale comparsata, risolvendo l’argomento con un’unica battuta sul finale («Per te sarei stato anche “Capitan Mai”!»), di Alessandro Florenzi, giusto per citarne uno che di tempra testaccina ne ha (aveva?) da vendere, nemmeno l’ombra. In quest’ottica, nonostante la durata ridotta dei singoli episodi, i sei prodotti appaiono generosi, rischiando di far scivolare un’operazione divertente e sentimentale, verso un abisso di stucchevole egocentrismo.

Sempre in bilico, Speravo de morì prima resta un prodotto popolare che strizza l’occhio alla sit-com, concedendo il giusto merito al campo, grazie a spezzoni di vero calcio giocato. Fino al finale in cui Francesco Totti torna a riprendersi la scena per rivivere in una sorta di cortocircuito temporale-audiovisivo il suo ultimo giorno con la maglia giallorossa addosso. Regalandosi, per di più, una fantasia: quella di un rinnovo impossibile in realtà, perché possibile solo su un foglio di carta o su uno schermo (in questo caso) televisivo.


(Speravo de morì prima); genere: biografico, commedia, sportivo; showrunner: Stefano Bises, Michele Astori; stagioni: 1 (miniserie); episodi miniserie: 6; interpreti principali: Pietro Castellitto, Francesco Totti, Greta Scarano, Gianmarco Tognazzi, Massimo De Santis, Marco Rossetti, Gabriel Montesi, Monica Guerritore, Giorgio Colangeli, Antonello Fassari, Paolo Calabresi, Corrado Guzzanti; produzione: Sky Studios, Wildside, Capri Entertainment, Fremantle, The New Life Company, Kwai; network: Sky Atlantic (19 marzo-2 aprile 2021); origine: Ita, 2021; durata: 30’; episodio cult: Episodio 4


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