Americana - Duro a morire: Miami confidence

Miami è un fondale, un disegno, un videoclip. Miami è una scenografia, una tavolozza di colori irreali e assemblati con stridore. Miami è una strada affollata di telefilm, su cui piomba anche Michael Western (Jeffrey Donovan, tra poco in sala con Changeling di Eastwood), il protagonista di questo Burn Notice, che prende Miami e la rispedisce – quantomeno formalmente – indietro di vent’anni, in quegli Ottanta in cui il cielo della città non aveva ancora conosciuto la vernice HD di CSI: Miami e Sonny & Rico non erano ancora stati smolecolati a vista sul grande schermo dal loro creatore.
Se non fosse girato secondo tutti i dettami trendy del manuale della messinscena contemporanea (split screen, fermo-immagine, angolazioni sghembe, scritte sullo schermo, montaggio sincopato), lo scenario in cui collocare Duro a Morire sarebbe davvero, com’è stato detto da più parti, quello dei cult delle nostre mattine adolescenti davanti alla tv: i McGyver, gli A-Team e i Magnum P.I, di cui l’autore Matt Nix riprende gli elementi con scanzonata baldanzosità, tenendoli insieme puntata dopo puntata con il blando sub-plot dell’indagine privata di Michael per scoprire chi lo ha tagliato fuori dai servizi segreti da un giorno all’altro, e con l’intento di farli rivivere spudoratamente ‘senza ambizioni’, ma sempre col ghigno e il sopracciglio arcuato di chi ribadisce ad ogni inquadratura che ‘non-ci-si-prende-mica-sul-serio-da-queste-parti’ (insomma, Keen Eddie senza la spocchia british a la Ritchie).
Narrate in voice over, in seconda persona, come fossero delle lezioni per diventare professionisti del mestiere, le avventure quasi sempre auto-conclusive dell’ex-agente segreto ora mercenario, al soldo dei poveri sfruttati dai potenti spacconi, sembrano una versione serial del pacchiano Confidence di James Foley, che continua a tornarci in testa, testardo, puntata dopo puntata.
Forse perché prevedono spesso fughe rocambolesche, esplosioni e sparatorie, ma soprattutto una serie di travestimenti, messinscene, truffe e ‘stangate’ in cui il protagonista è aiutato dal suo ‘team’ - la ragazza Fiona (Gabrielle Anwar), e l’ex Navy Seal ora informatore della CIA Sam Axe – interpretato con lo stesso sardonico ghigno ammiccante che pare essere il segno distintivo della serie, da Bruce Ash Reparto Ferramenta Campbell.
La presenza del saltimbanco preferito da Sam Raimi è forse il punto di maggior pregio di Duro A Morire: autore di due bestseller in libreria (Confessions of a B-Movie Actor e Make Love! The Bruce Campbell Way), l’attore cult ha da tempo una carriera parallela nel piccolo schermo – è infatti titolare di due serie, Brisco County Jr e Jack Of All Trades, e presenza fissa col suo fantastico Autolycus sia in Hercules che in Xena (di entrambi Campbell ha diretto alcuni micidiali episodi-parodia).
Sam Axe, perennemente con una birra tra le mani e una camicia hawaiana addosso, è un altro tassello nella sua superba galleria di personaggi formidabili, tra cui spicca negli ultimi anni il vecchio Elvis Presley nel sublime Bubba Ho-Tep di Don Coscarelli (anche se purtroppo Campbell si è fatto sostituire da Ron Hellboy Perlman per il seguito del film, Bubba Nosferatu): la speranza è quella di vederlo cimentarsi dietro la macchina da presa anche per qualche futuro episodio di Burn Notice – gli exploit registici di Bruce Campbell, due documentari e i folli horror in coppia con l’inseparabile Ted Raimi Man with the Screaming Brain e My name is Bruce, sono infatti già nella leggenda.
