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Americana - Jericho

Pubblicato il 1 giugno 2009 da Gaetano Maiorino


Americana - Jericho

Nell’America degli ultimi 8 anni, tante sono state le serie televisive che per tematiche, sensibilità, palesi o più celati moti emozionali e psicologici, hanno fatto riferimento alla tragedia dell’11 settembre. Lo schianto dei due aerei di linea dirottati dai terroristi di Al Qaeda ha determinato la paura e l’ambiguità dei personaggi di The Wire, Alias, 24, e molti altri prodotti di fiction televisiva che hanno spopolato negli States e in seguito anche nel vecchio continente. Meno fortuna per quel che riguarda ascolti e longevità ha avuto Jericho, serie del 2006 passata in sordina sulla tv pubblica italiana e in queste settimane in replica sul satellite.
A differenza dei citati esempi, questo telefilm ambientato in una piccola cittadina del Kansas, ha chiuso i battenti dopo solo due stagioni. Una prima serie di 22 episodi con ascolti al di sotto delle aspettative lasciava pensare a una cancellazione anticipata. C’è voluta una “sommossa popolare” dei fan, per scongiurarla, rivolta di massa che ha costretto la CBS, emittente produttrice dello show, a girare altre 7 puntate, realizzate nel pieno dello sciopero degli sceneggiatori, per chiudere la linea narrativa rimasta in sospeso alla fine della prima stagione.

Ventitre esplosioni nucleari cancellano dalla cartina degli USA altrettante grandi cittadine. La geografia dello Stato più potente del mondo è rivoluzionata, la politica si sfalda e la nazione stenta a riorganizzarsi. Jericho, è abbastanza lontana da Denver per subire danni dalla bomba lì esplosa, ma abbastanza vicina perché i suoi abitanti vedano il fungo atomico sulla città. La piccola comunità si ritrova isolata e con numerose difficoltà da affrontare. Il richiamo all’11 settembre è evidente, e inoltre quell’evento è anche citato dai personaggi durante il pilot. La prima puntata presenta la realtà del villaggio del midwest americano, preso come prototipo della residua innocenza di una nazione che si sente colpevole per aver scatenato l’odio degli estremisti islamici.
Il pubblico incontra i principali protagonisti del telefilm: il sindaco Johnstone Green, la moglie Gail e i due figli, Eric e Jake; Stanley Richmond e sua sorella Bonnie; l’avversario politico di Johnston, Grey Anderson, proprietario della miniera di sale che dà ricchezza alla città; l’ambiguo agente dell’FBI Robert Hawkins. Ognuno rappresenta uno stereotipo sociologico; ciascuno di questi personaggi rappresenta una qualità o un difetto dell’America, una virtù o uno scheletro nell’armadio, un valore da promuovere o una vergogna da cancellare.

Jericho è essa stessa una micro-comunità che serve a rappresentare la macro-comunità che sono gli Stati Uniti. Di fronte al dramma nucleare, la cittadina in un primo momento si unisce attorno al proprio leader, il sindaco Green, reagendo come fece il popolo americano stringendosi attorno alla presidenza Bush all’indomani dell’11 settembre. La guida della città diventa così il simbolo dell’orgoglio patriottico e rappresenta quella figura patriarcale che richiama le tribù dell’Antico Testamento (Jericho è un nome esemplare anche in questo senso). Essendo un capofamiglia prima che un leader politico, Johnston Green si configura anche come padre della famiglia allargata di Jericho, prima che l’odio e la diffidenza inizino a serpeggiare nella comunità. Si palesano gli altri fantasmi post 11 settembre. Il rifiuto dello straniero, nonostante sia egli integrato nella vita della città, colpisce Hawkins, vittima di ripetute “visite” da parte della polizia locale, così come dopo la caduta delle torri tutti gli arabi divennero indesiderati sul suolo americano; il panico diventa una situazione costante così come accaduto nella realtà; l’egoismo di alcuni abitanti mina il senso di comunità creatosi subito dopo le esplosioni e anche la politica ne risente, con Gray Anderson che sfrutta ogni minima debolezza di Green per sottrargli il ruolo di sindaco.

Tutte dinamiche emblematiche che fanno di Jericho un trattato di sociologia post-apocalisse che si specchia letteralmente nella storia recente degli Stati Uniti. Analizzando proprio questo aspetto si può trovare il motivo della scarsa popolarità di una serie che tecnicamente e drammaticamente non ha nulla da invidiare ad altri prodotti di successo. Forse gli Stati Uniti non vogliono rivivere nella finzione un accadimento tanto drammatico. Forse è meglio esorcizzare, quindi non mostrare o narrare storie talmente simili alla verità. Meglio trovare un eroe che sappia risolvere le situazioni, un eroe puro. Ma questo eroe non appartiene alla struttura di Jericho. I due più attivi nella ricostruzione della città e nell’affrontare i nemici sono Jake Green e Robert Hawkins, ma se Jake, il figliol prodigo (ancora riferimenti a sacre scritture), da un lato sembra il perfetto uomo d’azione che prende in mano le redini della truppa nei momenti di difficoltà, dall’altro non rivela mai dove ha appreso tutte le conoscenze belliche che dimostra di avere. La sua esperienza personale, il suo passato, vengono fuori pian piano, scoperchiando un altro vaso di Pandora.

L’Iraq entra in scena, con il suo contorno di tragedie mai raccontate, di crisi individuali. Entra in scena l’inutilità di una guerra, altra piaga aperta dell’amministrazione Bush e ora ancora infetta sebbene, pare, in lenta via di guarigione. Insieme a essa, le contraddizioni scaturite dalla gestione del conflitto, con mercenari a dettare legge che ora si presentano come sciacalli anche nella finzione. Jake è stato uno di loro, il suo lato oscuro non permette al pubblico un’identificazione perfetta, quindi non crea l’empatia popolare necessaria per farlo riconoscere come il salvatore della patria nel senso più classico del termine.
Allo stesso modo, si scoprono lentamente i misteri di Hawkins, finto agente del Bureau, finto agente di polizia, forse agente della CIA, con evidenti responsabilità nell’attacco nucleare (o come minimo nella sua non riuscita operazione di disinnesco), passato dalla parte di Jericho per proteggere la propria famiglia. Nessuno dei due è un vero eroe nonostante la loro redenzione si compia totalmente.

Ciò che fa Jericho è presentare una finzione senza paura di confronti con la realtà. Dire ciò che gli Stati Uniti hanno avuto paura di accettare, immettere sulla struttura di un prodotto di intrattenimento, un’analisi profonda della società americana del nuovo millennio, sconvolta da un disastro di dimensioni immani. La differenza è quella di accettare la colpa. In Jericho i colpevoli sono funzionari di un ramo marcio della politica, un gruppo di sovversivi interni al paese stesso. Un’ammissione di colpevolezza, un voler dire al mondo “noi siamo stati i primi a causare il nostro dramma”, forse per la smania di grandezza, forse per la perdita dei valori che la cittadina di Jericho cerca ora di ripresentare come fondanti, ma che si rivelano non del tutto sufficienti.
Visivamente ispirato al filone dei disaster movies, Jericho riesce a trascendere l’impostazione di genere e si mostra agli occhi degli spettatori come una profonda analisi della coscienza americana. La finzione poi, va per sua natura sempre oltre i limiti, e la serie immagina un possibile scenario apocalittico indirizzato verso una corrente cinematografica di fanta-politica, che trascura (soprattutto nella seconda serie) il parallelo con la realtà.
Forse per l’America era ancora troppo presto.


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