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Americana – Terminator: The Sarah Connor Chronicles

Pubblicato il 3 dicembre 2008 da Sergio Sozzo


Americana – Terminator: The Sarah Connor Chronicles

In assenza di Schwarzy.
Superba appare sin dai primi istanti dell’episodio pilota la tensione mai sedata che attraversa questa serie ’derivata’ dal secondo, immenso capitolo della saga di James Cameron, Terminator 2: il Giorno del Giudizio, andando a porsi (grazie anche ad un bel salto nel tempo che consente a Sarah di evitare la morte per cancro, e l’11 settembre - ’se l’avessi visto’, dirà, ’avrei pensato che avevamo perso, e che stavano vincendo loro’) come narrazione parallela nei confronti del terzo, comunque solido, exploit del cyborg, Terminator 3: Le macchine ribelli, di Jonathan Mostow, che diventa così assolutamente accessorio – pare infatti che il prossimo Terminator: Salvation prenderà le fila proprio da questa serie tv.
Tensione completamente indirizzata alla ricerca di un corpo: in assenza di Schwarzy, appunto, e di James – il cui coinvolgimento nel progetto è inesistente a tutti i livelli di scrittura (opera dello stesso Josh Friedman autore de La guerra dei mondi insieme a David Koepp), regia (ci pensa ottimamente lo specialista tv David Nutter) o produzione –, a John (Thomas Dekker) e Sarah (Lena Headey, la magnifica Regina di 300, tosta ma, va da sé, giammai quanto Linda Hamilton) non resta che affidarsi (comunque) a Cameron. Si chiama così infatti l’indistruttibile teen-cyborg che John incontra all’high school (Summer Glau, che pare aver studiato sui canoni orientali come diventare una letale scolaretta dall’apparenza docile e sommessa), e che diventa suo angelo custode per difendere madre e figlio dal ritorno degli automi del 2027 indietro nel 1999, sempre intenti a tentare di ammazzare il giovane Connor prima che diventi il leader della rivolta contro le macchine (solo che il ragazzino è perennemente smarrito nel Getsemani di chi viene salutato Messia senza averlo potuto decidere da sé).

E cercano tutti un corpo, e quindi un’identità, i personaggi della serie.
Sarah e John, costretti ciclicamente a reinventarsi una vita, un nome, un posto dove stare, un modo di comportarsi e di vestire, per sfuggire ai killer dal futuro. Lei, spinta a rimettere mano alle armi dal figlio adulto che da decenni di distanza le manda a dire che la considera ’il miglior guerriero che conosca’; lui, che vorrebbe unicamente vivere la sua età, magari al fianco di quel compagno della madre con cui entrambi stavano ricominciando un’esistenza quieta, abbandonato senza dargli spiegazione alcuna.
Ma anche la stessa Cameron, cyborg che pare capace di provare reali sentimenti, e il cui coinvolgimento con il ’coetaneo’ John non pare meramente ’militare’...; e addirittura il robot killer, che letteralmente perde la testa nel passaggio temporale che sbalza i tre dal ’99 al 2007 nella scena finale del pilota, e che si trova costretto a cercare tutti i pezzi della sua ossatura meccanica in giro tra i rottami di uno sfasciacarrozze prendendo in prestito il corpo del meccanico che s’era portato a casa il teschio trovato nell’immondizia, reliquia maledetta come in un horror vintage.

Allora, l’incredibile sequela di sorprendenti sequenze d’azione mostrate nel primo episodio, e già comunque tenute a bada nella seconda puntata, lasciano intravedere l’assoluto debito nei confronti dell’opera di James Cameron (e moglie, non dimentichiamolo) patito soprattutto dall’action contemporanea, più che dalla fantascienza: lo stile veloce e ultrastilizzato di David Nutter, probabilmente in maniera maggiore in rapporto alla granitica possenza delle immagini di Mostow del terzo film della saga, dimostra un’assoluta aderenza alle coordinate Cameroniane, ’alleggerite’ attraverso il ricorso a soluzioni visive proprie dell’ultima generazione di registi del ’genere’: il fantasma del grande autore di Abyss aleggia, suo malgrado, su ogni fotogramma della serie, in quanto alla filiazione tematica del telefilm si aggiunge quella indiretta, stilistica e formale, che per gli artefici di un lavoro per immagini meravigliosamente osmotico e ossidrico come questo, appare inevitabile.


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