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Angely revolucii

Pubblicato il 28 ottobre 2014 da Monia Manzo


Angely revolucii

Angely revolucii / Angels of Revolution è un classico film – uno dei più belli e poetici visti al Festival di Roma - che trasporta naturalmente lo spettatore in un’epoca di cui sappiamo molto, ma mai abbastanza da esserne oggi coinvolti del tutto: l’Urss rivoluzionaria degli anni Venti. Ormai da tempo internazionalmente acclamato come uno dei pochi grandi talenti cinematografici della nuova Russia, Aleksey Fedorchenko, classe 1966, riesce ancora una volta a creare un’opera filmica di matrice storica in grado di conciliare la violenza della guerra con l’ideologia, il potere con la bellezza dell’animo umano, l’alterità antropologica con il desiderio di progresso sociale. L’evento storico ormai lontano nel tempo si trasforma in vita e avventura attraverso cinque amici, ex colleghi d’armi (un poeta, un attore, un pittore, un architetto e un regista), degli artisti d’avanguardia che cercano di trovare la realizzazione delle loro speranze e dei loro sogni nel giovane Stato sovietico nato dalla rivoluzione dell’ottobre 1917. Siamo nel 1934 alla vigilia delle grandi purghe staliniana e la protagonista Polina, un’autentica eroina del Novecento, riesce a convincere i suoi compagni a seguirla negli ultimi due paesi avversi alla sovietizzazione: il Khanty e Nenets nella penisola della Jamal ai margini del polo artico nella Siberia nororientale, dove gli sciamani continuano a praticare una religione animistica e a mantenere le loro tradizioni popolari. Ad ognuno dei 5 amici viene dedicato un diverso capitolo del film e lì le loro storie si intrecciano con quelle degli altri protagonisti, tutti uniti da un fil ruoge: Il comunismo russo e la Rivoluzione Bolscevica. In nome dell’ideologia leninista ognuno di questi giovani piegherà la propria personalità, utilizzando l’arte solo in nome della causa politica, immolandosi in nome di un’ideologia che spesso cozza con la creatività e il diritto a vivere la propria cultura e religione. Polina diventa il leader del gruppo in missione, che ne riconosce la superiorità gerarchica in modo spontaneo, vista la sua grande carriera come combattente nella Stato dei Soviet e sarei lei a fungere da guida anche nell’ultima sfida nelle lontane foreste di Ob. Il rosso della bandiera comunista sventolerà così anche nelle gelide terre del Khanty e Nenets: i popoli autoctoni dovranno assistere a surreali lezioni sul teatro d’avanguardia, le donne dovranno tagliare i lunghi e femminili capelli secondo la funzionalità di un modello androgino, i bambini cominciare ad imparare il russo e tutti dovranno avere delle basi di ostetricia, messe in pratica subito in occasione della nascita della prima bambina della nuova Russia. Tutto scorre secondo il piano di sovietizzazione, ma davanti alla sfida dei cinque amici atei alla dea zoomorfa, simbolo di protezione e di grande identificazione culturale, il popolo di Ob si ribella, rispondendo con l’eliminazione fisica dei nemici. È atrocemente reale il risultato letale che nasce da uno scontro tra realtà completamente differenti: il film infatti racconta una storia vera e il regista dosa perfettamente uno stile a tratti quasi brechtianamente didattico, per illustrare dei fatti avvenuti con le storie dei singoli personaggi, che si inseriscono fluidamente nel disegno dell’opera, tanto da sembrare indispensabili per potere capire il senso della storia russa. Non è un caso che Federshenko abbia scelto come soggetto del proprio film dei ragazzi, degli artisti, delle menti allenate a pensare, ma in funzione di un’ideologia: potrebbe volerci ricordare che la loro storia non è solo una classificazione opportunistica di oggi nel descrivere la Rivoluzione di Ottobre, ma un insieme di persone, in questo caso giovani che hanno sacrificato le loro vite e l’arte in nome di un sogno impossibile da realizzare È disumano ma al contempo progressista il risultato della storia dell’Urss: unificare un territorio sconfinato, uno dei più grandi mai esistiti sul globo terracqueo, seminando morte e orfani. Commovente la scena in cui i figli dei ribelli, condannati a morte, vengono portati via dal villaggio, su di una slitta, unico simbolo rimasto della loro vita precedente, mentre ora e per sempre saranno i figli del Comunismo. E testimonianza toccante è la conclusione del film con una scena in cui riappare, anzianissima la prima bambina sovietica dell’Og, claudicante e stanca ma ancora abbastanza forte per cantare una nenia del periodo comunista. Questa come tante altre immagini del film sono parte di una poetica pacatamente iconoclasta, che non finisce mai di stupirci in quanto a delicatezza del tocco e all’uso ieratico del colore che ricorda l’opera di un grande eretico del ex-cinema sovietico, il giorgiano Sergej Iosifovič Paradžanov.


CAST & CREDITS

(Angely revolucii / Angels of Revolution ) Regia: Alexey Fedorchenko sceneggiatura: Denis Osokin; fotografia: Mikhail Krichman ; montaggio: Sergey Ivanov; musica: Andrei Karasyov ; interpreti Darya Ekamasova, Oleg Yagodin, Pavel Basov, Georgy Iobadze, Konstantin Balakirev, Alexey Solonchov; produzione: 29 February Film Corporation; origine:Russia; durata:105’


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