Anniversari - I 25 anni della Pixar e di un nuovo cinema d’animazione
Dopo un quarto di secolo di vita della grandiosa casa d’animazione di Emeryville, che è un vero e proprio caso nella Storia del cinema, può essere interessante fare una veloce carrellata sugli eventi che, dagli inizi a Toy Story, hanno reso la Pixar quello che è oggi.
Nell’università dello Utah, un professore e un ricercatore d’informatica, Dave Evans ed Ivan Sutherland, fondarono nel 1968 la “Evans & Sutherland”, una società che divenne in breve leader nel settore della simulazione computerizzata di sistemi di guida civili e militari. Intorno a questo sodalizio si raccolse tutta la sparuta comunità della computer grafica attiva in quegli anni ( per il laboratorio della “Evans & Sutherland” passarono personaggi come John Warnock -leader della Adobe- o Jim Clark -fondatore di Netscape-), e in seno ad essa trovarono sviluppo le tecniche di modellazione geometrica e organica, nonché i sistemi di rendering.
Con la recessione degli anni ’70 all’università dello Utah vennero a mancare i fondi necessari a proseguire la ricerca. Ma un facoltoso newyorkese appassionato di animazione, Alexander Shure, intervenne offrendosi di sostenere il fertile gruppo di ricercatori presso il proprio laboratorio, il New York Institute of Technology: qui inizialmente si studiavano nuove tecniche per l’animazione bidimensionale, i sistemi di disegno pittorico digitale, l’interpolazione tra keyframe (il calcolo automatico dei movimenti tra due fotogrammi chiave), ma con l’arrivo dei ricercatori dallo Utah il gruppo del NYIT iniziò a dedicarsi alle tecnologie 3d, giungendo fino alla realizzazione di piccole animazioni per la pubblicità; gli step successivi furono la simulazione dell’atterraggio della sonda Vojager su Marte –prima che accadesse realmente- e la collaborazione nel 1980 con il film The Work.
Proprio in questo periodo il grande successo di Star Wars convinse George Lucas a creare all’interno della IL+M un reparto completamente dedicato alla ricerca e alla sperimentazione dell’effettistica digitale, la “Research & Development”: qui dentro venne a riversarsi tutto il NYIT, nonché figure provenienti dal mondo scientifico, le quali erano solite utilizzare da tempo animazioni digitali per esporre tesi scientifiche. Tra costoro ebbe un ruolo centrale William Reeves, che fu ad esempio l’ideatore del processo di modellazione particellare, grazie al quale è possibile rappresentare masse gassose o liquide - Reeves è a tutt’oggi un ricercatore di punta nella Pixar Animation Studios-.
“Road to point Reyes”, del 1983, è una singola immagine realizzata totalmente con tecniche 3d(http://www.upf.edu/pdi/dcom/xavierb...) che rappresentò la stabilizzazione tecnica del gruppo all’interno della Lucas, ed è in questo momento che si avvicinarono al Research & Development non solo esperti di tecnologia informatica ma anche artisti nel senso più classico del termine, come John Lasseter.
Lasseter, animatore, aveva lasciato la Disney dopo che l’insuccesso di Tron (1982) – una delle prime imprese cinematografiche che fecero eccellente uso dell’animazione tridimensionale - aveva spinto la major del cinema per l’infanzia a non insistere nell’utilizzo delle ancora costosissime tecniche digitali. Alla Lucas Film, alla quale ebbe accesso nel 1983 a Lasseter fu offerta la possibilità di dedicarsi allo studio e alla creazione delle piattaforme tecnologiche necessarie all’animazione digitale (tra cui Reyes, un avanzato software per il render messo a punto insieme a Loren Carpenter): così, mentre i principali banchi di prova per il Research & Development furono i successivi episodi di Star Wars, nel 1984 il gruppo, capitanato da Edwin Catmull (già direttore del NYIT) diede vita a The Adventures of André e Wally B. (http://www.youtube.com/watch?v=GeKx... ). Il corto dura meno di un minuto, ma colpisce per l’ambientazione naturale realistica, ottenuta grazie ai sistemi di modellazione procedurale implementati da William Reeves, nonché per l’accurata modellazione e animazione dei due protagonisti, il pupazzetto André e l’ape Wally B. Lo sforzo produttivo per ottenere questa opera prima era stato enorme, aveva richiesto sfide tecniche colossali, tra cui l’impiego dell’allora potentissimo Cray X-MP/48 (sennonché nello stesso anno, il gruppo mise a punto il Pixar, un computer del tutto dedicato alla grafica digitale, che tagliava costi e tempi rispetto ai calcolatori non specializzati).
Così, dopo il primo corto e dopo aver inaugurato la produzione di hardware specifico per la computer grafica, il gruppo era maturo per buttarsi nel progetto per un lungometraggio interamente realizzato con tecnologia 3d, ma Lucas non voleva che i suoi brillanti collaboratori si distraessero dallo sperimentare effetti visivi per il cinema.
Fortunatamente intervenne a favore delle ambizioni del gruppo di Catmull Steve Jobs (il leader dell’Apple), che nel 1986 rilevò il gruppo di ricercatori dalla IL+M per dieci milioni di dollari.
La nuova società, che aveva ed ha come socio di maggioranza appunto Jobs, prese il nome di Pixar Animation Studios, e da qui in poi iniziò a dedicarsi esclusivamente al cinema d’animazione lavorato al calcolatore.
I cortometraggi, tra cui il primo ufficialmente attribuibile alla neonata Pixar, il glorioso Luxo Jr, sono il banco di prova attraverso cui Lasseter & Co sperimentano non soltanto le proprie straordinarie conquiste tecniche (che da allora in poi avrebbero fatto scuola a tutti gli studi d’animazione più giovani), ma anche quella personale poetica frutto di necessità espressive e possibilità tecnologiche, che sarebbe sempre stato il segno distintivo dei film Pixar più o meno sempre. Così Red’s Dream, Tin Toy, Knick Knack, creano l’humus nel quale sarà concepito il primo lungometraggio: nel 1991 la Disney, ormai ricredutasi sulle possibilità del digitale, firma un accordo con la Pixar per la produzione di un film interamente creato al calcolatore, quel Toy Story che nel 1995 approda nelle sale cinematografiche di tutto il mondo.
Ora, capire Toy Story vuol dire capire la Pixar e il significato della sua portata innovatrice all’interno della storia del cinema non solo d’animazione.
L’originalità di Toy Story verte essenzialmente su tre aspetti, ossia sulla collocazione temporale della storia, sull’istanza narrativa “adulta” e sull’antiretorica, caratteristiche che traggono in reciprocità linfa vitale dalle tecnologie che sono alla base del film. Ogni volta che ha tenuto fede a questi principi creativi, che da subito ne decretarono l’unicità – per lo meno nei primi tempi -, la Pixar ha dato vita a veri e propri capolavori ( Monsters, Inc, Ratatouille e Wall-e). Ciò che infatti ha fatto di Toy Story il punto di rottura con la vecchia concezione del cinema d’animazione cui il dominio Disney ci aveva abituato in quasi ottant’anni di attività è stato buttarsi alle spalle tutti quei cliché che definiscono una fiaba animata come classica: la “lista dei no”, su cui gli autori (John Lasseter, Andrew Stanton, Pete Docter, Joe Ranft) basarono il loro processo creativo, secondo la quale il film non avrebbe dovuto essere un musical, non avrebbe dovuto avere un protagonista noioso, non avrebbe avuto personaggi eminentemente cattivi, rende Toy Story un film perfettamente immerso nella modernità e nella demistificazione del mito e dell’eroe; il mondo di giocattoli di plastica dalla doppia vita, quella inerte di balocchi e quella reale di personaggi vivi, è l’emblema della finzione, del cinema nel cinema, della fiaba delegittimata, con tutte le conseguenze cui una simile scelta creativa può condurre, sotto ogni aspetto del film.
E’ così che la Pixar ha aperto la strada al modo tutto nuovo di intendere il cinema d’animazione: la tecnologia che ne ha rese le opere un genere a parte all’interno del panorama cinematografico, pur nell’eccellenza che la contraddistingue non ne ha determinato da sola l’originalità, semmai le possibilità del 3d, che ai tempi di Toy Story erano rispetto ad ora limitate, costringendo gli autori all’utilizzo di personaggi non organici e a situazioni relativamente semplici, li spinsero ancor più a proporre motivi narrativi ed espressività inedite.
Il progredire della tecnologia, insieme a un sempre maggiore sostegno del pubblico, se da una parte dopo Toy Story ha riportato le scelte tematiche e narrative della Pixar un po’ verso la china disneyana (pensiamo a pellicole dai temi decisamente infantilistici come Cars o Finding Nemo), dall’altra non ha impedito l’esplorazione di situazioni e ambienti sinora sconosciuti al cinema d’animazione di largo consumo, tramite scelte narrative spesso originali e sorprendenti: Ratatouille ha per protagonista un roditore, cosa di certo non originale, se non per il fatto che il roditore è un ratto di fogna che ambisce all’alta cucina: per non parlare della sceneggiatura, sempre poco prevedibile, anche nell’originale happy end; Wall-e è un capolavoro fantascientifico, che esula dagli argomenti angusti del cartoon classico per toccare temi di importanza sociale fondamentale, tramite personaggi e spunti narrativi in grado di colpire soprattutto il pubblico adulto senza bisogno di far leva su sentimenti epidermici, come accade nella maggior parte dei kolossal disneyani.
Così sembrerebbe che il sodalizio commerciale tra Pixar e Disney, pur lontano ormai dai fasti di Toy Story, e pur spingendo su tematiche e prodotti che siano infine spendibili con sicurezza presso il più vasto pubblico possibile, non sembra abbia scalfito la carica innovatrice del vulcanico gruppo di Lasseter, che produce ormai un film l’anno sempre con la medesima freschezza creativa. E qualora accadesse che la Pixar dovesse adagiarsi sugli allori iniziando a proporre sempre gli stessi motivi, resterebbe in ogni caso la pioniera di un modo di intendere l’animazione non più esclusivamente rivolto a gratificare il pubblico infantile, ma consapevole delle proprie vastissime potenzialità cinematografiche.