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Anniversari - Rossellini anno zero

Pubblicato il 7 dicembre 2006 da Alessia Spagnoli


Anniversari - Rossellini anno zero

Mentre si celebra, proprio come avviene per i Santi, il Centenario della Nascita dell’Autore, viene da chiedersi cosa sia stato trattenuto dalle maglie del tempo di tutte quelle preoccupazioni di carattere etico e, diremmo perfino “evangelizzatorio”, che sottendevano l’opera del grandissimo cineasta romano. Della formula lezione rosselliniana, come pure della celeberrima affermazione di principio e volontà: “Me ne infischio di fare arte. La mia è una posizione morale”. O, infine, del vasto progetto per un’opera(zione) didattica, portato avanti con un’azione continuativa e indefessa, e da attuarsi tramite opere pensate e realizzate per uno strumento televisivo considerato privilegiato (colpito invece, e in quegli stessi anni, da un fiero ostracismo da parte di molti registi cinematografici, Fellini in primis).
Non è un caso che oggi una delle rarissime trasmissioni dedicate dal piccolo schermo alla divulgazione di alcune scomode “verità” rechi un taglio e un titolo indubbiamente rosselliniani come Anno Zero. Anche per il giornalista di questi reportages ci pare resti saldo il principio rosselliniano dell’assolvere alla propria funzione sociale osservando tutti i crismi dovuti all’adempimento di una vera e propria missione.
“Non mi propongo di essere un artista, ma un pedagogo”: tale era il suo fermo proposito. Nonostante la patina sprezzante dell’affermazione, Rossellini riponeva grande fiducia nel suo pubblico. Certo, non in tutti gli spettatori indiscriminatamente. “Se mi presentate una serie di uomini che non hanno la facoltà di leggere all’interno delle cose, mi presentate una serie di scimpanzé. Ma io voglio vedere un uomo che abbia la facoltà di comprendere e di leggere nelle cose, dunque di averne una coscienza assoluta. A quel punto può, con un solo tratto, puro, spoglio, astratto, darvi l’emozione che deriva dalla sua conoscenza”.
Da questa presa di posizione, quasi integralista, deriva il modo di lavorare del regista. Da qui discende quell’estremo rigore, quel lavoro di finissima pulizia estetica e formale che è la sua più evidente marca stilistica e che fa risaltare, per contrasto, facendoli rimbalzare prepotentemente dallo schermo, i suoi sempre amatissimi personaggi e le loro storie, in una maniera fino ad allora inusitata (ma che largo seguito avrebbe avuto di lì in avanti). E’ per questo che la visione di un film di Rossellini lascia sempre ben più che turbati, profondamente sconvolti perfino nelle più intime convinzioni, poiché anche le più ferree fra esse franano sotto le spinte del suo argomentare (come rimanere indifferenti, ad esempio, di fronte ad un capolavoro straordinario come Europa ’51, un’opera che che pone un eterno dilemma morale e pertanto non subirà mai l’obsolescenza del tempo?
L’autore, pur venerato (ma solo con assurdo e colpevole ritardo) dalla critica nostrana, risultava abile come nessun’altro a toccare corde universali e a parlare in maniera diretta alla gente, senza sotterfugi o artifici retorici (rinvenibili invece in un De Sica). Che sia questo tratto a dispiacere ai “cinefili”? Significativamente nel nostro, il suo, Paese, sono reperibili giusto una manciata di titoli in dvd, in edizioni tra l’altro neppure sfavillanti. L’incomprensione continua, dunque? Dalla nostra prospettiva suona astruso aver recepito all’epoca della loro uscita i film con la Bergman come un’involuzione da parte di un regista acquisito e incasellato a forza come il caposcuola della stagione felicissima - ma irripetibile - del Neorealismo. E tuttavia Rossellini si è sempre emancipato, anche a prezzo di giudizi impopolari, da costrizioni ideologiche che non fossero sue proprie, facendo leva su una curiosità intellettuale e un’illimitata disponibilità a sperimentare che ne fanno oggi un artista estremamente moderno.

Rossellini fa parte di un’immaginaria Somma Triade di Autori - insieme a Dreyer e Bresson - che come lui ponevano al centro delle loro osservazioni l’Uomo (o spesso, la Donna) e che li hanno consegnati alla Storia come i più sensibili “umanisti del cinema”, accomunati dal medesimo, bruciante interesse per le figure di “pazzi” e “santi” (ciascuno di loro ha dedicato, non a caso, un ritratto sorprendente alla pulzella d’Orléans, ognuno dei tre ci ha consegnato vividissimi ritratti femminili). Lo sguardo a prima vista è freddo, eppure, (anzi, proprio a causa di ciò) la temperatura emotiva si fa arroventata, proprio per la presunta “distanza” immessa tra il sentimento dell’autore e il suo (s)oggetto e veicolata dalla - solo apparente - semplicità dello stile.
Chiarendo il senso del fascino impresso su di lui dalla visione di alcuni affreschi di artisti del Duecento a Pisa, il Nostro spiegava: “L’impressione gigantesca che ne ricevi è che, quando guardi gli affreschi veri e propri, tutto è ridotto all’essenziale, non c’è traccia di anatomia nelle figure, le linee sono di una semplicità totale [...]. Ecco la semplicità cui era arrivata questa gente! Era una conquista straordinaria spogliarsi di questa conoscenza per giungere all’essenziale. Bene, a quell’epoca gli affreschi avevano la funzione che oggi esercita il cinema”. L’estrema purezza delle linee e delle forme di quegli artisti è uno dei motivi ispiratori dell’estetica rosselliniana. Talmente importante da aver orientato anche alcune linee direttrici della poetica dell’autore.
Lasciar scaturire il discorso dalle immagini: oggetti, gesti, azione non hanno bisogno di altro che di loro stessi per “parlare”. Il giudizio è già presente nelle cose di per sé, senza bisogno di forzature o strumentalizzazioni di sorta. Questa, in sintesi, la sua fondamentale lezione, talmente universale che si riverbera attualmente a latitudini diversissime, nell’iraniano Kiarostami e nei belgi Dardenne, nel cinese Yimou e nel russo Sokurov: questi gli ideali prosecutori e i più talentuosi allievi “in spirito” del Maestro.
Abbiamo qui voluto dedicare un omaggio all’Autore, rifuggendo da ogni dogmatismo o dichiarazione astrusa priva di aderenza con il suo pensiero, intercalando piuttosto le nostre osservazioni con le sue parole vive e intavolando una sorta di dialogo - speriamo proficuo - con lui. Per far questo ci siamo attenuti ad alcune dichiarazioni chiarificatrici rilasciate ai Cahiers du Cinéma nel corso di una doppia intervista, ad opera di Eric Rohmer e François Truffaut prima, di Rohmer e Fereydoun Hoveyda poi (compresa nella raccolta La Politica degli Autori, edito dalla Minimum Fax). Difficilmente un autore di cinema ha saputo dimostrare la stessa, estrema lucidità di giudizio di Rossellini.


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