24
Considerarla la serie più innovativa della storia della televisione potrebbe, forse, essere un po’ troppo, è certo, comunque che 24 (in onda già da qualche tempo su Rete 4) resta uno dei tentativi più riusciti dai tempi di E.R. di ristrutturare e ripensare anche criticamente il senso ultimo che, come spettatori, diamo ad un programma televisivo. Più che la dimensione spettacolare (di ampie proporzioni, in ogni caso) a contare è, quindi, soprattutto l’idea tutta teorica che ha determinato la costituzione del format di questo originalissimo telefilm. Un’idea che ci obbliga, prima di tutto, a ridefinire la nostra posizione di fruitori e che ci costringe a fare i conti con tutte le cattive abitudini di spettatori televisivi che ci portiamo dietro non appena accendiamo il televisore. E questo non perché il telefilm agisca nei nostri confronti secondo la logica di uno straniamento di matrice brechtiana, ma perché esso, al contrario, esaspera tutte le caratteristiche che più o meno inconsciamente affidiamo al mezzo televisivo attivando, con questo, una paradossale illusione di realtà all’interno di un meccanismo drammaturgico che riconosciamo, sempre e comunque, come assolutamente finzionale. Questo connubio di realismo assoluto (che corrisponde alla quasi completa aderenza del tempo narrativo con quello di fruizione della narrazione da parte del pubblico: il telefilm è girato e poi trasmesso in tempo reale) e assoluta fiction (le storie intrecciate dei vari personaggi) conduce, infatti, ad una strana frattura (che non è mai, comunque, irreversibile) con le abitudini dello spettatore televisivo medio. La coincidenza temporale tra il piano del telefilm e quello della vita reale è indicata costantemente in corso d’opera da una serie di indicatori di tempo interni (orologi da parete o da polso spesso consultati dai veri personaggi) ed esterni (un timer digitale posto in posizione extradiegetica al margine dell’inquadratura a solo uso e consumo dello spettatore a casa), quasi a sancire un patto faustiano tra gli autori e il proprio pubblico, come se si volesse dichiarare di voler giocare sempre e solo a carte assolutamente scoperte. La trama arzigogolata e un po’ da B-movie portata avanti nel corso delle varie puntate viene rivitalizzata da questo gioco in cui a contare non è più soltanto l’abilità di tenere lo spettatore incollato sulla propria poltrona con una trama avvincente, ma, soprattutto, la capacità di riuscire ad emozionare secondo una scaletta cronologica preventivamente dichiarata. La posizione dello spettatore è, quindi, improvvisamente attiva (la televisione in genere pretende una passività quasi assoluta) anche se, ad essere attivati non sono tanto l’intelligenza o lo spirito critico dello spettatore quanto, piuttosto la sua generica curiosità. Lo stesso plot ha quindi un’importanza secondaria rispetto alla qualità della messa in scena e al rispetto quasi assoluto delle premesse teoriche. Basti guardare sia pure brevemente al sogetto di questa serie per rendersene conto. 24 segue, infatti, secondo un modello narrativo molto debitore delle dinamiche della reality tv, tutti gli eventi di un giorno della vita di Jack Bauer, il direttore di una squadra antiterrorista della CIA che ha appena ventiquattro ore per sventare un complotto per assassinare un candidato a governatore di colore. Come si vede quello che lo spettatore ha di fronte è il canovaccio di un film/telefilm come tanti e dai risvolti drammatici già stati abbondantemente sfruttati altrove, a cambiare è solo il rapporto pubblico/spettacolo. L’apparato finzionale messo in moto ha, per questo, bisogno di tutta una serie di accorgimenti drammaturgici necessari a tenere in vita una perfetta illusione di realtà. Alla quasi perfetta unità di tempo (studiata, comunque, per venire incontro alle esigenze della messa in onda, con tanto di spazi per le interruzioni pubblicitarie) deve corrispondere, per movimentare il tutto, una moltiplicazione dei piani narrativi (con abbondanza di eventi collaterali) ed una conseguente moltiplicazione di location. Per quanto sperimentale infatti, 24 non è per questo una serie suicida, ed è quindi una necessità che all’unità di tempo subentri una totale frammentazione delle unità di luogo e di azione. Da questo deriva la magnificazione dello split screen per permettere allo spettatore di vedere quello che avviene in diversi luoghi contemporaneamente. Il dinamismo che ne consegue è ulteriormente aumentato in quei momenti in cui la divisione dello schermo è operata per riprendere una stessa azione da più punti di vista: uno stratagemma che complica ed accelera il tempo di lettura di azioni di cui deve essere sottolineata, in qualche modo, la portata drammaturgica. Da tutte queste premesse viene fuori un’opera assolutamente adrenalinica e profondamente innovativa, ma troppo legata ad un discorso puramente affabulatorio per riuscire a farci gridare al capolavoro.
(24); ideazione: Joel Surnow e Robert Cochran; regia: Jon Cassar, Rodney Charters, David Gugghenheim, Stephen Hopkins, Frederick King Keller, Winrich Kolbe, Paul Shapiro, Bryan Spicer, Ian Toynton, James Whitmore jr.; sceneggiatura: Joel Surnow, Robert Cochran, Michael Loceff, Chip Johannessen, Howard Gordon, Andrea Newman, Virgil Williams, Lawrence Hertzog, Michael S. Chernuchin, Maurice Hurley, Remi Aubuchon, Gil Grant, Elizabeth Cosin, David Ehrman, Evan Katz, Nick Cohen, Duppy Demetrius; fotografia: Rodney Charters, Peter Levy (solo pilot); montaggio: David Latham, Scott Powell, David B. Thompson, Chris G. Willingham; musica: Sean Callery, John Frusciante; interpreti: Keifer Sutherland, Leslie Hope, Sarah Wynter, Sarah Clarke, Xander Berkeley.
Premi aggiudicati: Emmy per la Miglior sceneggiatura in una serie drammatica, Golden Globe come Miglior attore in una serie televisiva drammatica (Kiefer Sutherland), Golden Satellite Awards quale Migliore serie televisiva per la categoria drammatica Golden Satellite Awards per la Miglior performance in una serie drammatica (Kiefer Sutherland).
messa in onda: tutte le domeniche per 12 settimane; rete: Rete 4; orario: 21:00
[dicembre 2003]