X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Dall’altra parte del mare

Pubblicato il 1 aprile 2009 da Federica Bianchi


Dall'altra parte del mare

Cinema e teatro, il bene e il male, l’individuo e la collettività; questi sono i dualismi su cui si sviluppa Dall’altra parte del mare, il film metalinguistico, e forse anche multilinguistico, di Jean Sarto. Il teatro, che sembra essere l’unico genere di riferimento all’interno della pellicola, apre in realtà diversi punti di vista, piccoli flash che si insinuano in questo racconto ricalcando la logica delle scatole cinesi: ogni "scatola" spazio-temporale racchiude in sè un rimando composto di un’altra spazialità e temporalità, al di sopra della logica narrativa tradizionalmente intesa.
Per Abele, uno degli autori della compagnia teatrale che deve portare in scena una rappresentazione sul dramma della Shoah, è infatti inamissibile costruire uno "spettacolo" su un tema così grande col rischio di produrre "un remake teatrale di La vita è bella!", operando quindi quella che lui stesso definisce pornografia sentimentale. Le "non-scelte" dei componenti della compagnia sembrano trovare un parallelo in quelle operate da Sarto: il regista si serve di diversi linguaggi per fermare sulla pellicola la costruzione di qualcosa che in realtà non esiste veramente sullo schermo, se non nell’animo dei personaggi e degli spettatori. Come si può allora rappresentare un fanatsma? La risposta di Sarto è nell’evocazione, nell’uso continuo di dissolvenze, nell’utilizzo di immagini fotografiche, di sequenze audiovisive, dell’iconografia e del cromatismo di impronta pittorica.

La storia del singolo a favore della collettività; è proprio questo il compito di Clara, che da Parigi ha portato con se il racconto di Tosca, una sopravvisuta ebreo-polacca su cui aveva girato un documentario anni prima. Ecco che l’apparente assenza narrativa comincia a prendere forma grazie a queste ministorie che ognuno ha dentro di sè e che tornano a vivere nel momento in cui ci si avvicina al dolore di qualcun’altro. Sarà infatti durante una ricerca per la rappresentazione teatrale a cui sta lavorando, che Clara tornerà a fare i conti con la bambina abbandonata dal padre, che vive in lei.
Nel culmine della ricerca spirituale in cui inevitabilmente si è coinvolti (anche e soprattutto dalle continue letture di impressionanti documenti che gli attori pronunciano guardando direttamente in macchina), ci si perde proprio come i componenti della compagnia che si autodefiniscono ironicamente "sei attori in cerca di personaggi". Quella pirandelliana non è l’unica citazione contenuta nella pellicola; risulta infatti difficile non notare il chiaro riferimento che, con tanto di bastone, un personaggio in abito da scena (non a caso la giacca di una divisa tedesca) rivolge all’intramontabile Charlot.

La società dello spettacolo, la superficialità di una modernità effimera ha coperto i segni del passato, spingendo Abele a decidere di non poter rappresentare qualcosa che non può e non deve essere così ricostruito, perchè "rappresentare vuol dire riprodurre, deformare, riportare al presente".


(Dall’altra parte del mare) Regia: Jean Sarto; sceneggiatura: Monica Rapetti; fotografia: Aldo Di Marcantonio; montaggio: Patrizia Ceresani; musica: Alessandro Molinari; interpreti: Galatea Ranzi, Vitaliano Trevisan, Gordana Miletic, Fulvio Falzarano, Viviana di Bert, Alessandra Battisti, Tony Allotta, Paolo Summaria, Dino Castelli; produzione: Dream Film, Caro Film; origine: Italia 2009; durata: 80’.


Enregistrer au format PDF