Das Mädchen und die Spinne
Nella strana Berlinale on line, una delle pellicole più interessanti della sezione Encounters è quella di Ramon e Silvan Zürcher. Freschi del titolo preso alla Deutsche Film- und Fernsehakademie di Berlino, i giovani registi svizzeri spiccano fra le proposte del giorno con un lungometraggio in forma teatrale: Das Mädchen und die Spinne tiene fede al suo titolo e si dirama in una serie di inquietanti lacci emotivi, fra i quali i personaggi si avvolgono contro la propria volontà. La trama si svolge fra i fili di una ragnatela dai tratti tanto fiabeschi quanto ordinari e vede le due protagoniste affrontare la loro prima, dolorosa separazione dopo anni di convivenza: Lisa (Liliane Amuat) abbandona la coinquilina e amica Mara (Henriette Confurius) per stabilirsi in un altro quartiere. Il trasloco sfoggia le sembianze di un’impresa titanica: ovunque si accatastano oggetti destinati ad essere dimenticati, i mobili si rompono contribuendo all’entropia, fra i corridoi volano occhiate malevole e al contempo malinconiche, dappertutto si respira l’aria fresca e mefitica del cambiamento. La cinepresa si perde negli spazi angusti del palazzo in cui le due ragazze soggiornavano, soffermandosi sui diversi membri di questa bizzarra costellazione familiare: emerge, dunque, il volto di Astrid (Ursina Lardi), madre di Lisa dalla fisionomia più amicale che non genitoriale, e quello un po’ vacuo del timido Jan (Flurin Giger), casualmente reclutato per il trasferimento. Ci sono poi Markus (Ivan Georgiev), terzo membro dell’improbabile banda a cui fanno vertice le due protagoniste, alcuni bambini fin troppo vivaci e un gatto rosso dall’indole vagabonda. Non dimentichiamo, poi, le algide vicine Kerstin (Dagna Litzenberger Vinet) e Nora (Lea Draeger), intrappolate in una relazione dai contorni oscuri.
Il microcosmo dei fratelli Zürcher affascina ma disgusta, di fronte agli eterni lavori in corso che definiscono e delimitano i rapporti umani non possiamo fare a meno di sentirci nauseati. I personaggi si rincorrono vomitandosi in faccia le proprie verità con un livore talmente sotteso da allarmarci. La sensazione è la stessa che si prova osservando un parassita – forse lo stesso ragno che Lisa e Mara si passano di mano in mano: disgusto, insicurezza, attrazione, riluttanza regnano sovrane nelle parole che ognuno semina nelle varie stanze. Non c’è posto, alla luce del sole, per queste abominevoli creature – non possiamo ammettere l’esistenza di tali piccoli mostri nel nostro quotidiano. Nell’esibire ciò che di solito facciamo finta di non vedere, il regista sfodera tutte le sfumature dell’aggettivo Weird: bizzarro, divertente, peculiare, enigmatico, sovrannaturale sono termini che si adattano perfettamente alla malsana geografia intessuta dall’obiettivo. Criptici (e al tempo stesso limpidi come l’acqua) sono gli intercalari con cui il gruppetto definisce le proprie gerarchie e il carattere dei propri affetti. Nonostante i dialoghi siano sempre in bilico fra l’eccentrico e il torbido, la cinepresa rifiuta di schierarsi, addossandoci la responsabilità di ciò che scegliamo di vedere e di sentire. I sentimenti acquistano consistenza mutando di attimo in attimo – spesso all’interno della medesima inquadratura. È proprio questa sottile incoerenza, quest’incapacità di comprensione che dona veridicità ai rapporti qui inscenati: secondo Lisa e Mara, l’amore e l’amicizia sono come un insetto di cui si può avere o non avere la fobia.
L’impressione è che nessuno si sopporti ma che tutti siano uniti da un legame dissonante: l’asociale riservatezza di Jan, l’eccessiva autocommiserazione di Kerstin, la fredda frustrazione di Astrid, ma specialmente la crudele gentilezza con cui i personaggi si danno una mano a vicenda sporcano l’obiettivo di fango. Zürcher e Zürcher formano un’orchestra destinata a produrre soltanto suoni sgradevoli – come quello del martello pneumatico sotto casa, pronto a indicare ai coinquilini l’inizio di ogni nuovo giorno. L’effetto è quello di assistere ad una sinfonia dagli accenti magnetici e fastidiosissimi: alla fine, non sappiamo più come orientarci all’interno di questa rete in cui ognuno spia il suo prossimo (illudendosi, fra l’altro, di non essere spiato a sua volta). Sopra alla tela, da bravo ragno, Mara osserva le sue vittime come un predatore osserva le mosche, per poi sparire nel nulla e lasciarci tanto inquieti quanto sollevati.
(Das Mädchen und die Spinne); Regia: Ramon Zürcher, Silvan Zürcher; sceneggiatura: Ramon Zürcher, Silvan Zürcher; fotografia: Alex Haßkerl; montaggio: Ramon Zürcher, Katharina Bhend; interpreti: Henriette Confurius (Mara), Liliane Amuat (Lisa), Ursina Lardi (Astrid), Flurin Giger (Jan), André M. Hennicke (Jurek), Ivan Georgiev (Markus), Dagna Litzenberger Vinet (Kerstin), Lea Draeger (Nora), Sabine Timoteo (Karen), Birte Schnöink (cameriera); produzione: Beauvoir Films; origine: Svizzera 2021; durata: 98’.