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Documentaria - Musulmani europei

Pubblicato il 30 agosto 2011 da Alessandro Izzi


Documentaria - Musulmani europei

In una placida mattina d’autunno una scolaresca è chiusa in una biblioteca cittadina. I ragazzi guardano fuori, verso i giardini coperti di foglie, mentre un relatore, sintonizzato sul livello della fascia d’età cui si rivolge, tenta di chiudere un cerchio impossibile dimostrando che l’Islam è una religione di pace, fraintesa per lo più dagli integralisti.
Una maestra, esponente di quell’Italia che insegna e che dovrebbe quindi aver tanto appreso, dal canto suo, seduta in platea, scuote la testa. Lo vede bene, dai telegiornali di tutti i giorni, che la religione dei vicini del sud del mondo, è tutta burqa, jihad e padri che picchiano, sino ad ucciderle, le figlie che sognavano un matrimonio con qualcuno che la fede vera non la conosce affatto.
Al suo fianco, seduto composto, meno distratto dei compagni, un bambino biondo dagli intensi occhi blu la osserva costruendo un muro. Lui che musulmano ci è nato e che ha una sorella grande che il velo non lo mette, non ha mai sentito di dover dire agli altri la sua fede come, in fondo, un cattolico non dice mai all’amichetto appena incontrato per strada che la domenica mattina va a messa. Epperò quella testa che gira, piena del suo buon senso, lo ferisce.
In un momento come questo, piccolo nella sua insignificanza, l’intolleranza fa radici che sgretolano il pensiero. La presunzione che il vicino di poltrona “sia esattamente come me”, crea, senza parole, l’inizio di un fallimento civile.

Mamma Rai, lei che di fallimenti se ne intende, da parte sua cosa fa? Mette i soldi per un film d’inchiesta che cerchi di capire esattamente chi sono i musulmani, trova le prove che essi sono dappresso ben più che non si creda, che sono parte ormai del nostro vivere civile e poi, con buona pace della maestra che di notte dorme sperando di non sognare i suoi piccoli alunni, lo mette in programmazione all’ora più improba del mondo. Di più: ad un passo dalla messa in onda ritarda l’orario così che gli attardati non possano vederlo neanche per errore.
Somme meraviglie del servizio pubblico! Non uno spreco di soldi, intendiamoci, perché ormai il documentario, nelle sue quattro puntate di cinquanta minuti l’una esiste e non ci si può far più niente, ma uno spreco di intenzioni. Quelle si buttate al vento in attesa che qualcuno le raccatti.
Eh sì che il documentario da dire ne aveva e ne ha (le prossime tre puntate sono in onda prossimamente, Mamma Rai permettendo). Soprattutto per quelle persone, come la maestra, che ancora scuotono la testa ai convegni del politically correct. E non è che dica che l’Islam è la religione delle rose e del miele, tutt’altro! Preso dalla sua ambizione non piccola, Musulmani europei scava nelle contraddizioni, mostra i lati ambigui del nostro vicino di poltrona, ci racconta sia del suo anelito democratico e avanzato che delle sue derive oltranziste. Ma al tempo stesso ci chiede di farcene uno specchio per guardarci dentro riflessa la nostra immagine peggiore. Perché avere a che fare con l’Islam, ci obbliga, in quanto occidentali, a cavalcare i limiti delle nostre democrazie e dei nostri ideali. Perché è con loro che avremmo a che fare nei prossimi anni e le soluzioni che troveremo non potranno non essere condivise se vogliamo ancora fregiarci sia pure solo di un’impressione di diritto.

Luca De Mata, autore di questa inchiesta, ha molto filmato. Croce e delizia di un lavoro che ha troppo da dire e poco spazio per farlo. Soprattutto in un contesto, come quello televisivo, che obbliga a costanti ripetizioni di intenti (“il documentario è oggettivo, racconta le cose così come sono senza prendere posizione”). Il risultato è un prodotto affollato di idee, riflessioni, spunti che non si esaurisce alla visione, ma pretende il dibattito, anche ostile, anche polemico purché sia fatto con la voglia di ascoltarsi. Sbilanciato sulla componente letteraria (il testo della voce narrante, ribattuto con violenza, ma passato al cesello di una riflessione anche antropologica e teologica), vede nell’immagine la schiava del discorso. Il che è il più grande paradosso per una televisione, come quella di oggi, tutta immagine e ritmo.
A vedere la prima puntata di Musulmani europei saranno stati forse in pochi. A noi non resta che augurarci che, poi, alla fine, ne parlino in tanti.


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