Documentaria – Stones in Exile

Non sono trascorsi molti mesi dalla passerella sulla Croisette per questo documentario della BBC che è stato ospite della Quinzaine, oltre che del RomaFictionFest 2010, e che ora approda sulla televisione italiana free to air, specificatamente Rai 5. Protagonisti furono quelli che, se anche non dovessero essere stati i componenti della più grande rock ‘n’ roll band della storia, sono di certo stati coloro i quali il rock ‘n’ roll lo hanno inventato: ciò grazie alle novità che portarono nell’uso degli strumenti musicali e nei suoni che riuscivano a tirare fuori, oltre che alle furiose performance sul palco. Tutto vissuto nel nome di una lascivia che fu degnissima colonna sonora per un’intera generazione alle prese con lo sbando e l’incontenibile gioia della rivoluzione e della controcultura.
La musica che voleva cambiare il mondo ma che non vi riuscì: le migliori note, create in quei tempi dai giovani per i giovani, si pensava potessero cambiare le menti e il mondo intero. Ma il problema più grande, al di là del fallimento dei sogni di quella generazione, è stato che quelle persone, una volta divenute anagraficamente assai più mature, si siano dimenticate di quanto potere la musica avesse potuto avere tra i Sessanta e i Settanta e di come, in fondo, il mondo in quegli anni lo stesse cambiando sul serio.
È questo uno dei pensieri che più rimangono impressi, una frase pronunciata da uno dei testimoni oculari che vissero accanto ai Rolling Stones durante il loro volontario esilio in Costa Azzurra, meta di un viaggio che portò il gruppo inglese lontano da una madrepatria che li tartassava di tasse, obblighi che giunsero fino al 93% sotto il governo presieduto dal laburista Harold Wilson. Ma quello che più aveva infastido gli Stones era il fatto che si fossero sentiti cacciati via dal proprio Paese, a causa dei loro comportamenti ribelli che già dai loro esordi avevano costituito un cattivo esempio per la gioventù (inglese e non solo, visto il loro successo Oltreoceano). Ma vi erano fondati timori che, una volta allontanatisi dalla Gran Bretagna, mai più avrebbero potuto contare sul succeso che fino ad allora aveva loro arriso. In tale modo, oltre che essere condannati all’oblio, non avrebbero più potuto saldare il debito con l’erario di Sua Maestà la Regina.
Ma le leggende, nel loro realizzarsi per l’uso e il consumo dei posteri, seguono strade impervie e inimmaginabili, perlomeno fino a quando non hanno preso una forma completa. Come quando gli Stones scesero fino a Nellcôte, una gigantesca villa nel sud della Francia che Keith Richards aveva scelto per l’estate del 1971. E in quei corridoi e in quelle stanze gli Stones di giorno fumavano spinelli e si facevano di quanto era loro possibile, con accanto le amorevoli compagne, i figlioletti ancora bambini, i musicisti fidati collaboratori e un francese, ovvero colui che proprio in quei giorni sarebbe diventato il loro fotografo ufficiale per vari mesi. Di notte si impegnarono, per mesi, a dare vita a quello che sarebbe diventato (a nostro personalissimo parere) il più grande dei loro dischi. Di certo l’ultimo dei loro grandi capolavori. Ossia, evidentemente, Exile in Main St.
Il documentario, diretto da Stephen Kijak, sa giocare e divertire, tra fotografie in bianco e nero, commenti dei protagonisti ieri e oggi, stralci di interviste (compreso l’immancabile Scorsese) e spezzoni di live per il lancio del disco. Tutto ciò concorre a mostrare in modo immersivo lo spaccato di un’epoca e il culmine raggiunto da un culto pagano e decadente, in una comune che viveva stretta mentre veniva realizzata una pietra miliare, un disco che ancora oggi Mick Jagger ricorda con gioia, spiegandone le caratteristiche di lavoro sperimentale, famoso per il suono impastato e per i vari stili musicali che metteva in mostra (anche all’interno della stessa canzone, come afferma un commentatore in un’intervista presente nel documentario). Un lavoro che venne accolto prima freddamente dalla critica – per colpa proprio della sua estrema novità (la solita critica reazionaria!) – ma che, ovviamente, venne poi presto considerato in tutto il suo infinito valore.
