Festival del Film di Roma 2014 - We are young. We are strong.
Una storia di xenofobia, di adolescenza mancata, di integrazione razziale? Tutto questo e molto altro nell’ottima cornice formale di Wir sind jung, wir sind stärk (We Are Young, We Are Strong), diretto dal giovane Burhan Qurbani (classe 1980), figlio di rifugiati di guerra afghani.
La maggior parte della pellicola è girata in bianco e nero, luce drammatica su due giornate di odio: il 24 e il 25 agosto 1992, a Rostock, tre anni dopo l’unificazione delle due Germanie, qualche migliaia di neonazisti piantonano un centro di accoglienza per rifugiati. Vogliono una Germania di tedeschi, vogliono lavoro. Tre storie si incrociano in questo comune destino di violenza: Stefan, giovane arrabbiato orfano di madre; Lien, vietnamita integrata, lavoratrice, vogliosa di trovare in quella terra la sua patria; Martin, padre di Stefan, ambizioso ma vile politico, combattuto tra la difesa dei suoi ideali e quella della sua famiglia.
La prima inquadratura dal basso ci racconta i bambini: tre pargoletti abbandonati a se stessi raccolgono in un carrello da supermercato le bottiglie intere lasciate la sera prima dai bivaccatori notturni. Si cresce e si diventa una randagia compagnia di ragazzotti compressi di rabbia, mai un sorriso, solo provocazioni, competizioni, birre bevute spaccate lanciate come molotov. Il mondo degli adulti è caratterizzato da solitudine, falsità, doppiezza: nessuno si salva, nessuno può salvare qualcun altro. La giovane vietnamita viene stimata dal capo della lavanderia per la serietà orientale verso il lavoro, si tinge i capelli con delle ciocche chiare ("vuoi mimetizzarti?" l’accusa il fratello che, con moglie incinta, pianifica qualche settimana dopo un rientro in Vietnam per aprire una propria azienda), gioca con la figlia della collega lasciandosi chiamare senza problemi "muso giallo".
La tensione disperata, che cresce fino all’apice finale, è alleggerita da una bella sequenza al mare in cui la coppia formata da Stefan, bel viso pensieri confusi, bomber ricamato con dragone ereditato dall’amico suicida, e dalla bella bionda disinibita e un po’ pazzerella, fa un bagno in un mare nordico e grigio, scena interamente girata a pelo d’acqua, in cui la tensione erotica scivola molecolare tra corpi sguardi e contatto negato.
Dopo il primo lancio di bomba l’immagine vira al colore che accompagna le scene più drammatiche ad un finale duro e inevitabile. Molto presenti le televisioni, l’incursione mediatica che cominciava a diventare, allora, sempre più preponderante nelle vite comuni. Bello il momento dell’intervista ai ragazzi da parte di un’emittente televisiva, unico momento di rottura tra i componenti della banda.
Gli stessi tre bimbetti della prima scena, ora visti negli umili abiti colorati, apparentemente innocui, chiudono il film la mattina dopo, riuniti nella medesima azione rastrellatrice del suolo lurido, diventando, però, parte integrante attiva nella protesta che li circonda: il più piccolo con una pietra in mano, vedendo la vietnamita superstite al genocidio, d’istinto alza il braccio nell’atto di lanciare. Cut. Nero. Fine.
Quando lo spettatore lascerà la poltrona si sarà identificato con la vittima o con il giovanissimo persecutore? Chi vince? Chi ha ragione? Nessuno, neppure il regista, promulga una risposta definitiva.
(Wir sind jung. Wir sind stark); Regia: Burhan Qurbani; sceneggiatura: Burhan Qurbani, Martin Behnke; fotografia: Yoshi Heimrath; montaggio: Julia Karg; musica: Matthias Sayer, Tim Ströble; interpreti: Devid Striesow, Jonas Nay, Trang Le Hong, Joel Basman, Saskia Rosendahl, Thorsten Merten, Paul Gäbler, David Schütter, Jakob Bieber, Gro Swantje Kolhof, Mai Duong Kieu, Aaron Le, Larissa Füchs, Axel Pape; produzione: UFA Fiction/Ludwigsburg; origine: Germania, 2014; durata: 123’