Festival del Film di Roma - Black and white
È facile cedere al ricatto emotivo in cui pone Black and white (regia di Mike Bender): un ben invecchiato Kevin Costner appena rimasto vedovo, tutore legale e nonno di una bimba di sette anni mulatta rischia di vedersi togliere l’affidamento dalla nonna paterna, afro-americana in carne, convinta che la bambina vivrebbe meglio a contatto con le sue radici.
Il plot punta su cliché classici: il padre nero tossico pieno di debiti per via del crack, l’avvocato bianco ricco con villa con piscina; la comunità nera numerosa, chiassosa, con la musica nel sangue, il capofamiglia wasp,solo con il suo lutto, televisione accesa senza limiti per Eloise (la bimba metà nera e metà bianca dal nome difficile da pronunciare lettera per lettera), tablet, telefoni cellulari a disposizione ma con la tazza colma di superalcolici sin dalla mattina; la bambina affezionata al nonno dalla pelle di colore differente, con cui si scambia saluti a codice privato all’entrata della migliore scuola in town (quante volte abbiamo visto il dito indice e il medio puntati sul cuore e poi sulle labbra in un film americano? Basta!) fino a quando non diventa aggressivo durante l’ubriachezza protratta.
Octavia Spencer (reduce da un oscar come attrice non protagonista per The help) non si risparmia in faccine iper-espressive, occhi strabuzzati da pazza, movimenti del corpo e della testa oscillatori come solo la gente di colore sa fare (questo sembra alludere), pronta a tutto per difendere la nipote ma ancor di più il figlio che ha perso la retta via (non ha preso nulla da lei che è una imprenditrice di successo).
Qualche battuta fa ridere, nell’autoironia del protagonista: "Sai cosa sono bravi a fare gli avvocati?". "No". "Niente".
Dopo una lunga tiritera sui pregiudizi razziali all’udienza il socio avvocato gli dice: "Neanche un membro del Ku Klux Klan avrebbe argomentato meglio".
L’inter-razzialita così tanto mescolata conduce ad un tragico, prevedibile colpo di scena in cui i colori si fondono tra sogno e apnea. Happy ending garantito.
Un ruolo divertente è affidato all’insegnante di ripetizione di matematica, un giovane di colore che conosce fluentemente otto lingue, ne mastica altre quattro e ha scritto relazioni, articoli, saggi sull’elaborazione del lutto, sull’utilità di imparare una nuova lingua invece che attaccarsi alla bottiglia, su ogni possibile tema scottante possa venire in mente ad essere umano.
Ogni tanto si ride, ogni tanto spunta una lacrimuccia, ogni tanto si sostiene il punto di vista di Costner, altre volte il punto di vista della Spencer.
Un film che si lascia vedere, senza infamia e senza lode, girato come un classico film americano di cassetta ma con velleità educative. Il messaggio: se qualcuno si comporta male, al di là del colore della pelle, è una persona da evitare. Grazie, ma lo sapevamo già.
Né carne né pesce, né bene né male, né bianco né nero.
(Black and white); Regia: Mike Binder; sceneggiatura: Mike Binder; fotografia: Russ Alsobrook; montaggio: Roger Nygard; musica: Terence Blanchard; interpreti: Kevin Costner, Octavia Spencer, Jillian Estell, Jennifer Ehle, Anthony Mackie, Bill Burr, Mpho Koaho, André Holland, Gillian Jacobs, Paula Newsome; produzione: Blackwhite, Sunlight Productions Treehouse Films; origine: USA, 2014; durata: 121’