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Festival di roma - Geraldine Chaplin in conversation

Pubblicato il 23 ottobre 2014 da Fabiana Sargentini


Festival di roma - Geraldine Chaplin in conversation

Premessa: Geraldine Chaplin è piccolina, magrissima, sorridente e più giovanile che sullo schermo. Arriva al teatro studio Gianni Borgna abbigliata di chiaro, occhiali verde acido sulla testa usati a mo’ di cerchietto, occhio vispo e sorriso sulle labbra. È una settantenne curiosa come una bambina appena affacciata sul mondo, un esempio per la moltitudine di giovani depressi e ripiegati su se stessi.
Le due signore che la accompagnano in questa conversazione sono in piacevole confidenza con lei. Al pubblico viene offerto, tramite un montaggio di dieci minuti circa, un breve stralcio di carriera della Chaplin, non necessariamente i film più belli né quelli che hanno lasciato un segno nella storia del cinema, ma pellicole che hanno voluto dire qualcosa di speciale nella vita dell’attrice.
Si comincia con l’esordio a otto anni con il padre in Luci della ribalta. Poi Il dottor Zivago di Lean, Jacques Rivette, Carlos Saura (che è stato suo marito per un ventennio), Pedro Almodovar.

La prima domanda riguarda il suo amore per la danza, dopo averla vista danzatrice invasata al capezzale di Alicia, ballerina in coma, in Parla con lei.

La danza classica è stata il mio primo amore, ma ero brava solo nella mia mente, il corpo non mi seguiva, allora ho abbandonato. Per anni ho odiato il balletto, dopo il ruolo con Pedro ho ricominciato ad apprezzarlo.

Come sei passata alla recitazione?

Lavoravo al circo con gli elefanti, che sembra un lavoro romantico invece era decisamente brutale. Mi sono detta: con questo cognome potresti provare a recitare. E in un attimo mi sono trovata un agente e il mio primo ruolo, accanto a Belmondo. Ogni porta era aperta.

È bella questa sfacciata ammissione della fortuna che ha avuto a chiamarsi in quel modo, di avere il privilegio di crescere da quei genitori, da quel grande genio che è stato Charlie Chaplin.

In casa l’impulso creativo era forte. E soprattutto si respirava un’etica del lavoro. Mio padre lavorava sempre, dalla mattina alla sera. Ci dicevano sempre:
"silenzio, bambini, papà sta lavorando".
Il mio nome è stato solo un vantaggio, mi ha spalancato tutte le porte, è ancora un’ombra che sento sempre, che amo avere accanto. Mio padre non era solo un attore e un genio (anche se detestava questa parola), ma era un uomo amabile, un uomo amato da tutti, dal mondo intero. Quindi sono stata sempre circondata da amore, che è bellissimo.

Le viene chiesto come sceglie un film e come riconosce un buon regista, lei che ha lavorato in tante parti del mondo, in Europa e negli Stati Uniti, in più lingue, francese, inglese, spagnolo.

Vedendo un buon film capisco se chi lo ha fatto è un buon regista. Mi è successo di vedere un film e pensare di volere lavorare con quel regista e poi ha chiamato! Un buon regista è uno che fa film che amo. Chi se ne frega se li amano gli altri

Riguardo a Robert Altman.

Con Altman era come una festa costante. Essendo dei film corali, sembrava di essere una compagnia stabile. Andavamo tutti insieme a rivedere il girato della giornata ed era come andare ad un party: marijuana, alcol, popcorn. Cosa volere di più?
Alla prima lettura del copione di Nashville Altman disse: "Avete tutti la sceneggiatura? Buttatela. Qui c’è la sceneggiatrice che può aiutarvi a scrivere le battute ma ognuno scriva quello che pensa. Basta che sappiate chi siete, con chi siete, cosa provate. Ognuno scriva le sue canzoni ma i diritti sono miei!" La fantasia e l’inventiva erano apprezzate da Altman.

Riguardo agli attori.

Se guardi negli occhi e vedi qualcosa dentro allora quello è tutto. Con Yanet Mojica in Dolares de arena (suo ultimo film, presentato ieri al Festival) all’inizio è stato difficile perché non era una professionista. Poi abbiamo trovato un contatto ed è stato bellissimo

Riguardo all’esilio in Svizzera di suo padre e l’effetto che ha avuto sulla famiglia.

Mio padre diceva sempre: "Non provo amarezza, non provo amarezza, non provo amarezza". In effetti ripetuto un po’ troppo spesso. Non ho mai saputo che era stato estradato dall’America, per me eravamo andati in vacanza in Svizzera, una vacanza che era durata fino a che non avevamo cominciato le scuole lì e lì eravamo rimasti. Ho saputo che era stato accusato di comunismo solo quando ero un’adolescente marxista e ho detto grande, viva papà!

C’è qualche ruolo che non hai fatto e ti piacerebbe fare?

Ogni parte è una nuova sfida perché ogni personaggio è un essere umano, siamo esseri umani, ogni essere umano è diverso e il nostro mestiere è rappresentare l’essere umano.

Cosa vorresti che il pubblico portasse dentro del tuo ultimo film, Dolares de arena?

Ognuno può vedere quello che vuole nel film. È commovente, straordinario, è forse il più bel film che ho mai fatto. Tocca tutto: politica, problemi sociali, storia d’amore nello stesso film. In genere sono temi trattati separatamente. Ed è tutto trattato così delicatamente, un film davvero bellissimo: andate a vederlo.

L’ora scarsa dedicata all’incontro è trascorsa. Alcune parti della - lunga circa centotrenta film - carriera di una grande attrice come Geraldine Chaplin sono state toccate, altre rimangono misteriose, come si addice ad una star della sua portata. Grazie.


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