Feud (Stagione 1) - Teste di Serie

"Non c’è mai stata una rivalità come la loro. Per quasi mezzo secolo si sono odiate a morte e noi le abbiamo amate per questo."
Olivia de Havilland
Tutte le stelle prima o poi si spengono. Anche quelle del cinema, nonostante rifulgano nell’immaginario collettivo dei loro fan, impresse per sempre sulla celluloide. Nella sua terza serie televisiva antologica (dopo American horror story e American crime story) Ryan Murphy catalizza l’attenzione sulle faide che hanno reso ancor più celebri e vittime delle burrasche di gossip alcune personalità di spicco del mondo dello spettacolo e non solo: in questa prima stagione le acerrime rivali sono Joan Crawford e Bette Davis (interpretate rispettivamente da Jessica Lange e Susan Sarandon), donne e dive dalla forte personalità, quasi incompatibili per natura, che raggiunsero l’apice del loro odio reciproco durante le riprese del film Che fine ha fatto Baby Jane?, diretto da Robert Aldrich (Alfred Molina).
In una Hollywood affollatissima da star e pettegolezzi e centrifugata dalla rivalità delle major cinematografiche (anche se il solo produttore protagonista della storia è Jack Warner, interpretato da Stanley Tucci) Murphy, coadiuvato da Jaffe Cohen e Micheal Zam, mette a nudo le ambizioni smisurate, quasi incontrollabili, della Crawford e della Davis, in grado di far terra bruciata al loro passaggio di ogni orpello e ostacolo che si ponga tra loro e il successo agognato, mediante una narrazione per flashback con piglio documentaristico (il racconto della faida rivive grazie alle parole di Joan Blondell/Khaty Bates e Olivia de Havilland/Catherine Zeta-Jones, intervistate per un documentario sul tema): sia nella vita privata, tra amanti scacciati e scoop velenosi rilasciati con gelida malizia, sia sul set, tra ripicche, pretese economiche, minacce, insensati tagli alle sceneggiature e messinscene di finti malanni, le due leggende del cinema incarnano alla perfezione il lato oscuro dello showbusiness. Meschinità e avidità possono mettere a repentaglio la riuscita di un film e Murphy sembra quasi voler mostrare allo spettatore quanto sia estremamente complesso per un regista (e il sacrificato è proprio Aldrich) non tanto concepire uno script o lavorare dietro la macchina da presa, ma riuscire a gestire attori di innato talento, ma dotati di un carattere disumano (perfino Frank Sinatra contribuì a portare il regista al limite dell’esaurimento nervoso): le star messe in scena da Murphy sono come bambini viziati che mettono il muso e graffiano il fratellino perchè all’altro vengono riservate maggiori attenzioni; i divi di Hollywood non sono più semplici attori, ma bestie bramose di fama e Oscar, alla continua ricerca di copioni da azzannare e risputare a loro immagine e somiglianza, perfino a discapito del cinema stesso. Un comportamento deleterio e aberrante che si nutre della serenità con la quale un artista dovrebbe impegnarsi nel suo lavoro e che trasfigura il volto e lo sguardo della Crawford e della Davis fino al termine delle loro carriere: così Feud non soltanto spalanca le porte dei luminosi set cinematografici e degli oscuri dietro le quinte hollywoodiani, ma mette in scena la solitudine e la decadenza di una vita sotto le stelle e in mezzo alla altre stelle, perchè questo interessa agli sceneggiatori, non l’ascesa verso l’Olimpo dei grandi, ma la mortalità e la fragilità dell’ego delle leggende del mondo dello spettacolo, destinate a vivere in opulenza sotto i riflettori, per poi essere soffiate via come cenere di sigarette consumate dalle folate del tempo tiranno, in totale abbandono (“Ha lavorato nel cinema per una vita e le hanno dato solo venti secondi” sentenzia Bette Davis dopo aver osservato il tributo dell’Accademy durante una cerimonia degli Oscar per omaggiare la Crawford ormai deceduta).
Feud è soprattutto una serie in rosa, costruita sul successo e la rivalità di due donne, che tentano di restare a galla in un micro-mondo maschilista e oppressivo, che setaccia con determinazione i tabù di un regime artistico chiuso ad aspiranti artiste, per la maggior parte relegate a figure di contorno (emblematico il fallimento dell’assistente di Aldrich, Pauline/Alison Wright, di passare direttamente dietro la macchina da presa).
Se è vero che un grande film o serie televisiva spesso vengono riconosciute come tali per la potenza espressiva sprigionata dalla storia da cui traggono spunto, è doveroso spendere due righe per elogiare le varie performance offerte dal cast di protagonisti. Jessica Lange è un’ambiziosissima e vulnerabile Joan Crawford, desiderosa di attenzioni ed eterna primadonna dello showbusiness e del jet set, a tratti docile e mansueta come un cuccioletto indifeso, eppure feroce e spietata nel vendere al diavolo (la stampa!) finte calunnie e scomode verità, mentre Susan Sarandon giganteggia nei panni di Bette Davis, cinica e talentuosa stella del firmamento hollywoodiano, rapace e austera maniaca del controllo con colleghi, registi e perfino sua figlia: entrambe perfette, magnetiche, in stato di grazia divino. Applausi su applausi anche per Alfred Molina nei panni di un perseverante e gentile Robert Aldrich, per Stanley Tucci nel ruolo di quel gran serpentesco figlio di un produttore che era Jack Warner e Dominic Burgess, pancia e gote di Victor Buono.
Feud è già stata rinnovata per una seconda stagione, nella quale si ricostruirà il rapporto difficile tra il principe Carlo e Lady Diana. Lunga vita a Ryan Murphy, quindi. E al suo ennesimo capolavoro.
(Feud: Bette and Joan); genere: drammatico; sceneggiatura: Ryan Murphy, Jaffe Cohen, Michael Zam; stagioni: 1 (rinnovata); episodi prima stagione: 8; interpreti: Jessica Lange, Susan Sarandon, Judy Davis, Jackie Hoffman, Alfred Molina, Stanley Tucci, Alison Wright, Dominic Burgess, Kathy Bathes, Catherine Zeta-Jones; produzione: Plan B Entertainment, Ryan Murphy Productions, Fox 21 Television Studios; network: FX (U.S.A., 5 marzo-23 aprile 2017), Inedita (Italia); origine: U.S.A., 2016; durata: 60’ per episodio; episodio cult prima stagione: 1x05 – And the winner is... (The Oscars of 1963)
