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Fiction Italia - Zodiaco: il libro perduto

Pubblicato il 2 maggio 2012 da Alessandro Izzi


Fiction Italia - Zodiaco: il libro perduto

Partiamo da un dettaglio minuto, che non esaurisce (nè vuole farlo) l’opera nella sua interezza, ma che, secondo noi, ci aiuta ad entrare in uno snodo complesso delle produzioni televisive nostrane di cui si parla ancora troppo poco. Facciamo, quindi, un passo indietro e raccontiamo.
Siamo in un albergo a gestione più o meno familiare. Anonimo e caratteristico ad un tempo, lo gestisce la consueta impicciona di paese che tiene sempre gli occhi sul registro delle prenotazioni, ma di sottecchi controlla tutto. Non la pulizia degli avventori, ma gli amorazzi che potrebbero consumarsi tra i clienti, le storielle di pettegolezzo spinto tra le tende e gli asciugami freschi di bucato.
E, in fin dei conti, questa Eva Gruber, commissario incaricato di indagare sulla morte in un misterioso incidente stradale di Ester, sorella gemella dello Zodiaco, il serial killer che uccise a profusione appena qualche anno prima, ci starebbe bene con Julian che dice a tutti di essere un professore ed è in realtà un agente di Scotald Yard che cerca sette sataniche e il perduto ultimo libro delle profezie di Nostradamus.
Il pubblico è già dentro ad un pizzico di mistero. Non capisce bene perché e percome, ma gli indizi gli dicono che questi incontri tra Eva e Julian tanto casuali non sono, che qualcosa c’è di mezzo, che qualche mistero deve essere chiarito. L’azione sprona a partire dal presupposto che nulla è come sembra, che da qualche parte c’è un codice da decifrare, un mistero da svelare. Cosicché questa storia dell’ennesimo incontro dei due nella hall dell’albergo proprio puzza un poco. Insospettisce anche Eva Gruber che, di sottecchi comincia a pensare all’occasione buona in cui infilarsi nella camera di lui per vedere cosa c’è dentro ai suoi cassetti. Ed è esattamente qui che casca l’asino! In mezzo a questo turbine di supposizioni, di mezzi non detti e di tanti sospetti, la fiction sente il bisogno di aprire una parentesi sulla proprietaria dell’albergo che sogghigna pensando “Son stata brava, li ho fatti mettere insieme!”
Questa pratica bassa di dare ad ogni personaggio, fosse anche il fattorino che ti porta la valigia in camera, un sospirato primo piano è, ahinoi, un’abitudine pestifera delle fiction italiane, una piccola colpa di fondo al sapor di provincia che ci tiene lontani da un sospirato respiro internazionale.
Il problema non è neanche in sé la strizzatina d’occhio che in un genere come il polar imparentato al thriller ci sta tutto, ma sta nel fatto che è un’interruzione incongrua nel muovere dell’azione, spezza il ritmo, la logica successione delle scene e delle supposizioni, introduce un elemento spurio di poca o nessuna utilità nello svolgersi dell’intreccio.
Di questa prassi non possiamo, certo, dar la colpa al regista. Si tratta piuttosto del risultato di un’ingerenza produttiva, di un bisogno di far piacere che non è solo della Rai, ma sta di casa anche in Mediaset. Quel che dispiace, semmai è che a tanta brama di "chiedere" della produzione non sia corrisposta altrettanta brama di "dare" quando si è trattato poi di trasmettere visto che questa fiction, Mamma Rai, l’ha nascosta in un cassetto due anni, l’ha poi scesa in campo timida, l’ha tenuta su una settimana e, quando ha visto che il pubblico restava sotto il milione e mezzo, l’ha declassata su Rai premium che, salvo altri imprevisti, manderà l’ultima puntata lunedì prossimo.
In realtà siamo partiti da questa scena minuta e piccola perché, nella sua ragion d’essere, essa tocca uno snodo importante per comprendere le difficoltà critiche nell’analisi di un prodotto attualmente al traguardo della terza puntata e di cui dobbiamo scrivere adesso per questioni giornalistiche e non quando sarebbe più opportuno a fiction completata. Il problema di Zodiaco – Il libro perduto, viene, da questo punto di vista, reso solo più evidente da queste piccole aperture di parantesi che in un prodotto meno "di genere" si noterebbero appena. Il fatto è che l’opera in questione stenta a trovare il giusto equilibrio tra il necessario e l’accessorio, tra l’indizio rivelatore e la falsa pista. Non si capisce mai fino in fondo se l’intenzione di regia è quella di limitarsi alla confezione bella di un prodotto dignitoso o se dietro ci siano ambizioni altre. Quando ragioni in termini attanziali, e quindi partendo dal presupposto che dietro tutto ci sia, prima di ogni cosa, la vocazione alla narrazione "di genere", urti di fronte alla considerazione che per tutte le prime due puntate te ne stai lì e non sai ancora bene qual è la posta in gioco, chi ha ucciso chi e perché dovrebbe importartene qualcosa. Ma il clima di sospensione che prende il posto di quel racconto orientato delle indagini che ti saresti aspettato in un semplice giallo non è, poi, abbastanza forte da diventare altro che atmosfera. Insomma le regole son rispettate, ma con parsimonia, come se qualcos’altro dovesse essere, di colpo, più importante, ma cosa non lo capisci per davvero.
A livello attanziale fatichi a definire un eroe, figurarsi a seguirne sino in fondo l’accidentato percorso verso la meta. Non hai, insomma, un oggetto di valore che ti indichi la direzione a tanti affanni. E questo avviene non per intorbidare le acque del racconto, ma per un’indecisione di fondo che non sembra risolversi mai del tutto. Per lungo tempo senti una distanza strana nei confronti dei personaggi che si colma solo quando si lascia il racconto e si entra nei personaggi di contorno che vivono, appunto, del loro essere di maniera.
Dispiace per gli attori che un po’ ci hanno creduto e per Zangardi, altrove interessante, ma il risultato annaspa nello stravizio televisivo di una ridente penisola che del thriller sa poco che farsene e non sa, quindi, forse neanche farlo per bene. Non ci riusciva, in fondo, neanche il dario Argento del periodo d’oro.


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