Giappone Underground. Il cinema sperimentale degli anni ’60 e ’70

Appuntamento con il Sol Levante questa settimana nella sezione libri di Close Up! L’occasione è la presentazione ai nostri lettori di una pubblicazione dal titolo “Giappone Underground” curata dalle Edizioni Il Foglio e scritta dal poeta e saggista agrigentino Beniamino Biondi. Con un sottotitolo che inquadra preventivamente il contesto di riferimento a cui il libro guarda (Il cinema sperimentale degli anni ’60 e ’70) e un approccio all’argomento da studioso rigoroso e appassionato, Biondi compie un viaggio rapido ma efficace all’interno di un mondo che anche un cinefilo convinto faticherebbe ad avvicinare. Il metodo dell’antologia di nomi, meticolosamente divisi in macrosezioni nelle quali far convergere le linee di pensiero di un intero processo cinematografico, permette all’autore di presentare al lettore ogni tipo di ramificazione dello sperimentalismo nipponico sviluppatasi nel ventennio analizzato mantenendo comunque un ordine analitico capace di irreggimentare la lettura dello studioso inesperto. Il risultato è un godibile strumento di avvicinamento che fissa le personalità più rilevanti dell’underground giapponese e passa in rassegna le opere più rappresentative di quella, distante e inesplorata, contro-cultura cinematografica. Per questo Biondi, come atto introduttivo del proprio lavoro, relaziona sulla nascita dei primi barlumi di sperimentazione e fissa i princìpi-chiave di una rivoluzione che, pur non avvenendo in maniera programmatica e differenziandosi da artista ad artista, si dimostra egualmente provocatoria, sovvertitrice e contestatrice.
Oltrepassare i confini della forma, rimuovere i paletti della convenzione (intesa sia come immobilismo dell’arte mainstream sia come bigottismo della censura di potere) sondando nuove esperienze sensoriali, linguistiche, contenutistiche, radicalizzare la contestazione attraverso un utilizzo militante del mezzo cinematografico. Sono questi, in sostanza, i comandamenti principali che hanno caratterizzato il lavoro dei pionieri dell’underground giapponese. Ognuno di loro ha poi costruito sopra questa struttura comune la propria espressione d’arte personale, il più delle volte, tesa ad oltrepassare i confini del soggettivismo estremo, del narcisismo artistico e del compiacimento. Come nel caso dell’arte provocatoria di Takahiko Iimura, ad esempio, in cui convergono elementi quali la frantumazione della forma e della narrazione (in favore di una rilettura astratta delle stesse) con la desimbolizzazione del corpo a fare da soggetto alle sue ossessioni pornografiche, o in quello del documentarismo estremo e crudele di Kazuo Hara (morboso nella sua rappresentazione viscerale della realtà), senza tralasciare le sperimentazioni altrettanto provocatorie e visionarie di Yoji Kuri, Nobuhiko Obayashi, Katsu Kanai, Donald Richie. Tutti autori che in un modo o nell’altro hanno radicalmente sovvertito i canoni di un prodotto filmico debitore della classicità dei padri e ancora legato alle regole degli studi cinematografici principali. Esponente rappresentativo di questa nuova esigenza rivoluzionaria è sicuramente Koji Wakamatsu con il suo cinema “proto pornografico”. Autore discusso e contestato ma fondamentale, secondo lo stesso Biondi, ai fini della proliferazione di tutta una nuova cinematografia giapponese a basso costo (Masao Adachi, Toshio Okuwaki, Juro Kara, Kazuhiko Hasegawa) attenta alle interazioni drammatiche tra violenza e povertà, sesso e degrado, pornografia e alienazione. Dopo aver rapidamente esplorato la poetica di Yukio Mishima, uomo d’onore di estrema destra legato al mito del samurai, scrittore raffinato prestato al cinema per una rivoluzione in chiave estetizzante e nostalgica, Biondi concentra i suoi sforzi finali su due dei più rilevanti cineasti sperimentali giapponesi: Toshio Matsumoto e Shuji Terayama. Il primo autore di una poetica che, partendo dalla riclassificazione del documentario e dei suoi confini (il reale che abbraccia il surreale), sfocia in un postmodernismo all’europea (sull’esempio di Chris Marker e Jean-Luc Godard), il secondo fautore di un cinema militante capace di colpire al cuore le istituzioni più recondite del Giappone attraverso le armi della provocazione e della contestazione più feroce.
A questi è dedicato quasi metà del testo rimanente in un approfondimento ulteriore che ripercorre in maniera ancora più meticolosa e approfondita la carriera artistica della coppia. E’ qui che probabilmente il testo diviene ancora più consistente in quanto si arricchisce di sfumature analitiche aggiuntive e riferimenti altri che contribuiscono a definire in maniera più efficace rispetto a quelli precedenti le figure di questi due ultimi artisti. Proprio sul finale quindi le capacità critiche e analitiche del nostro autore trovano il degno terreno su cui sfogarsi, liberandosi delle briglie di una aneddotica iniziale superficiale e sorpassando una parcellizzazione del testo limitante e limitativa. L’idea di un volume ideale quindi si compie strada facendo passando da uno strumento che assolve alle proprie funzioni (utile è per il lettore l’introduzione al mondo dell’underground giapponese) nella prima parte (spetta allo studioso proseguire la ricerca attraverso la bibliografia sull’argomento adoperata dallo stesso Biondi) ad uno scritto che soddisfa, negli ultimi due intensi capitoli, la fame di scrittura, di ricerca, di divulgazione dell’autore.
Autore: Beniamino Biondi
Titolo: Giappone Underground. Il cinema sperimentale degli anni ’60 e ’70
Editore: Edizioni Il Foglio
Collana: Cinema
Dati: 135 pp, brossura
Anno: 2011
Prezzo: 14,00 €
Isbn: 9788876063282
webinfo: http://www.ilfoglioletterario.it/Ca...
