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Hikikomori

Pubblicato il 22 aprile 2009 da Federica Bianchi


Hikikomori

"In ogni strada di ogni città di questo Paese, c’è un nessuno che sogna di diventare qualcuno; è un uomo solitario e dimenticato che deve disperatamente provare di essere vivo"; questa è la frase scritta sulla locandina italiana del celebre Taxi Driver (1976) di Martin Scorsese, che racconta una storia d’alienazione in un’America che deve fare i conti con la propria attualità. In un certo senso, la stessa frase si adatta in maniera efficace a questo piccolo film di Marco Prati, il quale elege protagonista un isolato non più figlio della guerra, ma della globalizzazione e del progresso tecnologico: nickname Hikikomori. Il Giappone, patria delle avanguardie tecnologiche, ha coniato questo termine per indicare adolescenti e giovani che rifiutano la vita pubblica e sociale isolandosi in casa tra videogiochi e tv accettando contatti solo attraverso il World Wide Web.
La metrepoli contribuisce a creare l’alienazione del trentenne protagonista del film, un ragazzo la cui vita si snoda tra casa e lavoro (un negozio d’elettronica ovviamente), privo di qualsiasi stimolo sociale, tanto che stenta a dialogare persino con i suoi colleghi di lavoro. Tutto ciò di cui ha bisogno lo procura su intenet, comprese possibili amicizie. Così la macchina da presa costruisce forti contrasti spaziali che concretizzano al massimo l’opposizione e il disagio che questo piccolo uomo vive nelle quattro mura che lo dividono da ciò che più lo terrorizza, la vita reale. Tutto quello che accade al di fuori del piccolo schermo da cui dipende diventa banale quotidianetà, ripetizione automatica di gesti privi di qualsiasi istinto vitale. Non a caso quando una mattina riceve una telefonata dal lavoro che gli comunica un’inaspettata giornata di ferie, l’unica reazione che ha è uscire di casa per poi rientrare dopo pochi secondi per dividersi tra tv e computer. La vita telematica è molto più semplice di quella reale, non si devono fare i conti con ciò che si è in verità; su internet è un direttore che bonariamente ha concesso una giornata libera ai propri dipendenti, nella realtà è solo un umile addetto alle vendite, insicuro ed introverso. La macchina da presa di Prati si fa portatrice dell’immobilità del protagonista, creando quadri statici che lo imprigionano, lo privano di possibilità di movimento. In opposizione a tale chiusura sono le sequenze degli esterni cittadini che invece si fanno mosse, caotiche, coadiuvate da un buon utilizzo della fotografia e della musica; è infatti proprio la cura di alcune sequenze audiosive (che trovano a volte interessanti risultati grafici) che dona alla pllicola un’estetica che si contraddistingue nell’attuale panorama indipendente italiano. In questo universo silenzioso fatto di pochi dialoghi reali, ma vissuto tutto nella propria mente, c’è una possibilità di salvezza che, fortunatamente, rimane ancorata alla propria genuina natura di "combina guai": è una ragazza con una lunga treccia di capelli che "non è vero che non ne fa mai una giusta".
Hikikomori è una breve favola moderna che accresce le aspettative verso il cinema indipendente italiano (fuori concorso ai Miff Awards 2007), grazie anche ad una riuscita distribuzione digitale che permette una lavorazione a costi contenuti, cosa che ci auguriamo possa spingere giovani esordienti come Prati a realizzare delle buone pellicole al di fuori dei tradizionali circuiti commerciali.


P.S Hikikomori; Regia: Marco Prati; sceneggiatura: Marco Prati, Edoardo Montanari; fotografia: Marco Prati; montaggio: Marco Prati; musica: Riccardo Iacono; interpreti: Adamo Rondoni, Olivia Fotani, Stefania Floresta, Marianna Masciolini, Tania Pedini; produzione: Luca Tornatore; distribuzione: Digima/DM Communication; origine: Italia, 2006; durata: 79’.


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