Homeland (Stagione 8) - Teste di Serie
«Ci siamo già passati dopo l’11/9. Abbiamo sbagliato tutto...»
(Saul Berenson)
PRIGIONIERI DI GUERRA
Si conclude Homeland, una delle serie tv più amate e seguite degli ultimi anni, appassionanti come poche all’interno del palinsesto globale del piccolo schermo, sicuramente una delle pochissime in grado di mantenere alto l’interesse nell’arco di otto anni e altrettante stagioni, epopea thriller-spionistica contrappuntata solo da una manciata di bassi. Al contrario, l’odissea internazionale e nervosa di Carrie Mathison non ha eguali nella storia della serialità, un’onda lunga in costante crescita, che si è abbattuta sull’immaginario collettivo del nuovo millennio con una forza critica raggelante.
Perché la creatura ideata da Alex Gansa e Howard Gordon per Showtime, ispirata alla serie israeliana Prisoners of war (Hatufim) di Gideon Raff, è riuscita a sviscerare, attraverso un criptico e ipnotico dispiegamento di una detection sempre tesa come la corda di un violino, i ruoli e le falle gerarchiche del potere americano, insieme ai segreti e alle gargantuesche tele di rapporti internazionali intessute con Paesi alleati e nemici, organizzazioni e spie impiantante in ogni angolo del globo; di pari passo, Homeland ha portato in superficie i liquami di amministrazioni e operazioni stagnanti, tenute in piedi da machiavellici membri d’élite dell’establishment a stelle e strisce e da spietati affaristi doppiogiochisti.
A trainare la più grande serie tv thriller-spy del nuovo millennio, un’innarestabile protagonista, tanto dolcemente complessa, quanto furiosamente devota a una causa “alta”: proteggere e salvaguardare il proprio Paese, la propria patria, a ogni costo. Sempre più avvilita e intrigante, arguta e combattuta dall’impossibilità di costruirsi una vita privata degna di tale nome – da qui il doloroso rapporto-allontanamento dalla figlioletta Franny – Carrie è la più grande eroina della serialità moderna, baluardo di giustizia e fallace essere umano, contraddittoria nell’esternare emozioni umane, ma stoica paladina a difesa dell’interesse civile nazionale; tuttavia Carrie Mathison deve il suo successo in special modo al travolgente talento di Claire Danes, attrice in grado di sorreggere responsabilità performative sempre più sfibranti e nevrotiche, grazie a un’interpretazione che è quasi un omaggio allo “slapstick emotivo”, così da infondere carattere e coinvolgimento a un personaggio sempre sull’orlo del baratro, in bilico tra lucida e geniale abnegazione e imprevedibile ma ammaliante follia. Un’attrice gigantesca.
Nell’ottava e ultima stagione, Homeland si focalizza sulla missione quasi impossibile di Saul (Mandy Patinkin, sempre all’altezza del suo ruolo) in Afghanistan, intenzionato a interrompere una volta per tutte i bellicosi rapporti tra gli Stati Uniti e i talebani; Carrie viene liberata dalla prigionia del centro medico tedesco in cui sta seguendo la riabilitazione, dopo il terribile “soggiorno” russo, per operare sul campo, sempre agli ordini di Saul; ma dall’incidente aereo che causa la morte dei due presidenti coinvolti, al turbolento rapporto “vecchia scuola” d’amore e conflitto tra la spia bionda e il suo contraltare Yevgeny Gromov (Costa Ronin), fino allo scontro salvifico tra Carrie e lo stesso Saul, in un crescendo di tensione più che palpabile, gli showrunner non solo riempiono il vuoto sul passato di Saul Berenson, tratteggiando una storia in flashback che ammicca alle atmosfere spy più classiche del genere, ma confezionano un finale di serie degno di una grande produzione: nell’ultimo episodio – non a caso intitolato Prisoners of war – Carrie abbraccia “l’oscurità” e compie il gesto ultimo di una spia, forse più “nobile” del suicidio, donando la sua stessa vita al servizio della Patria, così da non averne più una a sua volta, né una vita, né una Patria che la riconosca e la tratti come un’eroina. Carrie assurge al ruolo di martire, facendo sua l’eredità generazionale della spia in territorio nemico, divenendo a tutti gli effetti una prigioniera di una guerra che, in un finale disarmante, non pare avere mai fine. Così la spia dona sull’altare sacrificale del gioco dei troni planetario il suo corpo e la sua identità, in attesa che anche il suo tempo sopraggiunga a una fine e sia costretta a passare a sua volta di mano il testimone. Come una moderna Atlante che regge, in segreto, il peso della Patria sulle proprie spalle: solo un piccolo, ma indispensabile ingranaggio, di una macchina senza freni, che tutto divora. Fredda, come un corpo morto.
Homeland ci lascia; ci lascia la più grande serie tv thriller-spy del nuovo millennio.
(Homeland); genere: thriller, spionistico, drammatico; showrunner: Alex Gansa, Howard Gordon, Gideon Raff (soggetto); stagioni: 8 (terminata); episodi ottava stagione: 12; interpreti: Claire Danes, Maury Sterling, Costa Ronin, Nimrat Kaur, Mandy Patinkin, Numan Acar, Linus Roache, Mohammad Bakri, Andrea Deck, Cliff Chamberlain, Sam Trammell, Tatyana Mukha, Hugh Dancy, Christopher Maleki, Beau Bridges, Elham Ehsas; produzione: Teakwood Lane Productions, Cherry Pie Productions, Keshet Media Group, Fox 21 Television Studios; network: Showtine (U.S.A., 9 febbraio-26 aprile 2020), FOX (Italia, 9 marzo-proseguimento 2020); origine: U.S.A., 2020; durata: 60’ per episodio; episodio cult ottava stagione: 8x12 - Prisoners of war (8x12 - Prigionieri di guerra)