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House of cards (Stagione 4) - Teste di Serie

Pubblicato il 21 marzo 2016 da Stefano Colagiovanni
VOTO:


House of cards (Stagione 4) - Teste di Serie

Frank Underwood: "Tranquillo, giovanotto, non ci sono mostri alla Casa Bianca."
- Episodio 4x12 - Chapter 51 (4x12 - Capitolo 51)

Dopo aver gustato tutte le anticipazioni rese disponibili da Netflix sulla quarta stagione di House of cards, viene quasi in automatico porsi una domanda: può davvero una serie tv che basa il suo enorme successo su un’iperbole drammaturgica, quasi una trasfigurazione teatrale della realtà, raccontare semplicemente una storia e allo stesso tempo continuare a scoperchiare il vaso di Pandora nascosto tra i corridori della Casa Bianca, facendo fuoriuscire le lunghe ombre di lupi travestiti da agnelli, sudbole cospirazioni e efferate lotte per il trono e i propri interessi?

Non si tira in gioco l’aspetto teatrale della tragedia per caso: l’ideatore della serie Beau Willimon (che avrebbe annunciato di voler abbandonare la sua creatura al termine di questa quarta stagione o, al massimo, della quinta, già rinnovata) è un drammaturgo eccezionale, capace di colpire allo stomaco lo spettatore con semplici quanto terrificanti intuizioni, lasciando che sia il carisma e la presenza scenica di un manipolo di grandi attori (capitanati da un Kevin Spacey ormai in grado di raggiungere livelli attoriali semi-divini) a riempire lo schermo. Ma ciò che rende superlativa questa quarta stagione di House of cards sta nella bravura di Willimon di riuscire a terminare sottotrame finora lasciate in sospeso e anche un tantino trascurate nelle precedenti stagioni, sbrogliando la storyline principale, aggiungendo nuovi tasselli utili per ultimare il mosaico finale, per di più spezzando in due la stagione in maniera netta, ma non invasiva; e, come se non fosse sufficiente, Willimon spinge House of cards sull’orlo del precipizio, gridandole di saltare giù, verso quel punto di non ritorno che tutti i fan della serie stavano aspettando, strappando di dosso quella maschera patinata di saggezza e finto buonismo dai volti corrugati di Frank e Claire Underwood, rivelando a tutti i comprimari la loro vera e feroce natura.

Nell’anno in cui per le vere presidenziali americane il magnate megalomane Donald Trump è destinato a rivaleggiare con Ilary Clinton e Bernie Sanders, Frank Underwood trova in Heater Dunbar (Elizabeth Marvel) e William Conway (Joel Kinnaman) i due rivali per la rielezione a presidente; gli strascichi irrisolti del caso Lucas Goodwin (Sebastian Arcelus) si esuriscono con un colpo di scena che elimina allo stesso tempo una manciata di comprimari dall’assetto narrativo della serie, schiacciando le attese dello spettatore grazie a un’esplosione drammatica vertiginosa (un contesto che richiama molto da vicino la prima parte dell’ultima stagione del capolavoro I soprano), leva indispensabile per permettere alla narrazione di cambiare marcia nella seconda parte di stagione; seconda metà che vede l’ingresso di nuovi personaggi (il già citato rivale Conway), fino all’apoteosi di climax finale, il sucitato punto di non ritorno, l’abisso oltre il baratro, lungi dall’essere rivelato.

Sbagliava chi prospettava un ritorno della serie nel quale i riflettori sarebbero stati puntati esclusivamente sulla first lady Claire Underwood (una straordinaria Robin Wright, meritevole di lodi anche dietro la macchina da presa, considerato che gli episodi da lei girati sbocciano tra tesissimi campi totali e controcampi farciti di dettagli o primissimi piani potenti e suggestivi): la figura della donna ambiziosa (in questa quarta abbondano) assume un ruolo sì preponderante, ma non si rivela mai fine a se stesso, essendo posto in contrasto con la rigidità dell’uomo autoritario e spietato, in un gioco di finzione dentro un altro gioco di finzione, un valzer sul filo di un rasoio, condotto con sguardi penetranti e sorrisi di convenienza.

Nell’arco di tredici episodi non c’è mai tempo per tirare il fiato, tanto da sentire il bisogno fisiologico di non averne mai abbastanza, come l’assuefazione per il potere che nutre e tiene in vita Frank, Claire e tutti coloro che scivolano nelle ombre del castello di carte. Il confine tra finzione e realtà si assottiglia sempre più, in un mondo fittizio in cui il presidente del Paese più potente è un individuo cinico e spietato, così i j’accuse di Beau Willimon divorano quello stesso lembo di terreno divisorio, fino a impugnare il superamento della quarta barriera (la consapevolezza per i personaggi di un’opera, in questo caso cara solo a Frank, di far parte di un’opera di finzione) come arma di distruzione della finzione stessa, addirittura permettendo a un secondo personaggio (Claire) di servirsene a sua volta, per ammettere quelle colpe che parte di tutti noi temono e considerano veritiere: “Noi creiamo il terrore”. L’illusione non è mai stata così reale, soverchiante, terrificante.


(House of cards); genere: drammatico; sceneggiatura: Beau Willimon; stagioni: 4 (in corso); episodi quarta stagione: 13; interpreti: Kevin Spacey, Robin Wright, Michael Kelly, Sebastian Arcelus, Nathan Darrow, Mahershala Ali, Jayne Atkinson, Molly Parker, Elizabeth Marvel, Derek Cecil, Paul Sparks, Neve Campbell:, Joel Kinnaman; musica: Jeff Beal; produzione: Netflix; network: Netflix (U.S.A., 4 marzo 2016), Sky Atlantic (Italia, 9 marzo-20 aprile 2016); origine: U.S.A., 2016; durata: 60’ per episodio; episodio cult quarta stagione: 4x13 - Chapter 52 (4x13 - Capitolo 52)


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