X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



House of cards (Stagione 6) - Teste di Serie

Pubblicato il 11 novembre 2018 da Stefano Colagiovanni
VOTO:


House of cards (Stagione 6) - Teste di Serie

«Dimenticate ogni cosa che vi ha detto Francis in questi cinque anni!»
(Claire)

La caduta di casa Underwood

Infine, la casa di carte è crollata, spazzata via da un uragano di indicibile e imprevista furia. Un uragano originato dalla bufera delle accuse di violenza – o presunta, o adescamento – sessuale mosse nei confronti di Kevin Spacey, debitamente estromesso dallo show; dalla conseguente eruzione dialettica di protesta del movimento “femminista” #MeToo; dalle scorie e dai timori dell’amminstrazione Trump, sempre più miniera inesauribile da cui showrunner e sceneggiatori continuano ad attingere per le loro storie; dall’obbligo di dover concludere uno dei migliori prodotti televisivi degli ultimi anni, dilaniato e impoverito dall’insieme di tali concause appena elencate.

Negli ultimi mesi si sono affastellati molti timori in merito a questa sesta e ultima stagione di House of cards: su tutti, come rimpiazzare Kevin Spacey – estromesso in tronco dallo show -, non solo star protagonista di eccelso rigore e capacità attoriale, ma incarnazione sul set di uno dei personaggi più ambigui, cinici, imprevedibili, magnetici – e, per questo, amati – dell’era moderna della serialità televisiva e, di pari passo, sciogliere definitivamente un plot che si é sviluppato ed evoluto, da cinque anni a questa parte, intorno alla follia e all’ambizione del suo protagonista-factotum. Timori che, a malincuore, si sono rivelati mai così legittimi e reali.

La prima, disarmante impressione percepibile durante la visione di questa sesta stagione di House of cards coincide con la mestizia e l’evidente irrequietezza – e, quindi, confusione – con le quali lo showrunner Beau Willimon e gli sceneggiatori sviluppano gli eventi narrati: il defunto presidente Frank Underwood è un fantasma che aleggia tra i corridoi della Casa Bianca e nelle coscienze dei pedoni in gioco, mossi con straniante disinvoltura da sua moglie Claire (algida e letale Robin Wright), ora presidente a tutti gli effetti, tramutata in una brutta copia del personaggio-Underwood, perché sovraccaricata di abilità mai pienamente (di)mostrate, in un passaggio di testimone forzato e indesiderato nella sua esplicita arroganza di volere e dovere sostituire un protagonista unico nel suo genere.

Di pari passo si avverte un pulsante desiderio di voler concludere questo tortuoso e glorioso romanzo politico, alla stregua di un lettore che ha del tutto perso interesse nella lettura e non vede l’ora di passare a un’altra. Il magnetismo animale di cui godeva House of cards si è identificato negli anni con la capacità di attingere o indicare nell’ombra a reali e complessi dettagli politico-sociali, attuali e scomodi, senza timore alcuno. Stretta nella morsa dell’insicurezza, assolutamente fuori controllo, la sesta stagione di House of cards raccoglie tutto il pattume mediatico che l’ha costretta al decadimento e le più recenti e attuali “apparizioni” sociali, componendo una sceneggiatura ipercinetica e, spesso, inverosimile, a cominciare dagli omicidi in serie orditi e commissionati dalla vedova nera Claire, alla machiavellica estromissione del suo gabinetto, sostituito con uno tutto nuovo, composto unicamente da donne a lei care e fedeli; un gioco al massacro, autoindotto e crudele, che macchia indelebilmente uno show che era riuscito a costruire un meritato successo avvalendosi di una scrittura complessa e brillante, pur sempre attuale, forse a volte destabilizzante perché troppo ambiziosa, ma non per questo mai priva di quel fascino che solo le grandiose opere cult riescono a irradiare.

A comprovarne la malsana gestione in fase di scrittura, si addiviene a un finale distorto, impropriamente didascalico e chiuso nel peggiore dei modi: tronco, spento e raffazzonato.

Con l’indelebile sensazione di aver tramutato un progetto imperioso, a creatura agonizzante e delirante, la sesta e – necessariamente - ultima stagione di House of cards caracolla e riesce a barcollare fino alla conclusione grazie alle maestose performance di un cast che resta eccelso: su tutti, giganteggiano Robin Wright e un Micheal Kelly mai così disperato, commovente, vanaglorioso.

Quello di House of cards è un tradimento, una coltellata nella penombra della stanza. Perché, nonostante tutto, quel sentore di pericolo persistente, la malia espansa tra i corridoi e gli studi della Casa Bianca come un’invisibile nebbia venefica e allucinogena, quegli sguardi falsi e affascinanti, sono sopravvissuti fino all’ultima inquadratura. Ma il mondo è cambiato e Frank Underwood non c’è più. E House of cards con lui.


(House of cards); genere: drammatico, thriller; showrunner: Beau Willimon; stagioni: 6 (conclusa); episodi sesta stagione: 8; interpreti: Robin Wright, Michael Kelly, Jayne Atkinson, Derek Cecil, Constance Zimmer, Patricia Clarkson, Boris McGiver, Greg Kinnear, Diane Lane, Cody Fern; produzione: Netflix; network: Netflix (U.S.A., 2 novembre 2018), Netflix (Italia, 2 novembre 2018); origine: U.S.A., 2018; durata: 60’ per episodio; episodio cult sesta stagione: 6x06 - Episode 71 (6x06 - Episodio 71)


Enregistrer au format PDF