Il mito di Dracula

Strana creatura il vampiro. Capace di un’adattabilità al contesto sconosciuta agli altri grandi mostri della letteratura e del cinema.
Non è come Frankenstein, mostro dell’industria e della scienza, che, ha conosciuto una sola stagione ed è tornato in pochi revival, uguale a se stesso, fermo come maschera.
Non è nemmeno come lo zombie, triste camminatore dell’universo capitalistico, incubo proletario di massa che ci racconta l’orrore del consumismo e l’apocalisse dietro l’angolo. Mostro più propenso ad accettare qualche variazione su tema, ma più resistente, ad esempio, alle mode dello young adult che tutto fa scivolare in fantasiose romanticherie.
Il vampiro, no! È un’altra cosa. Nasce come semplice cadavere che si risveglia la notte, dal suo sonno di bara, e comincia semplicemente a masticare il proprio stesso sudario (prosciugando, però, di energia vitale i mortali che vivono troppo vicini al cimitero) e poi comincia a prendere l’abitudine di levarsi dalla tomba a caccia di giugulari da cui bere sangue fresco. Trova il suo terreno fertile nelle credenze popolari tra Est Europa e addirittura Grecia ed è, almeno all’inizio, un contadino o comunque un sempliciotto. Poi, più o meno con Polidori, diventa aristocratico e fa il suo ingresso dei salotti bene della società romantica. Stoker lo rende viaggiatore, figlio della notte, stanco dell’eterna routine del succhiasangue, poligamo e seducente al tempo stesso. Gli dona capacità di trasformarsi in lupo, in topi e lo affratella ai pipistrelli. Cammina in mezzo a noi, anche di giorno se le ore sono quelle giuste, ma ha lo sguardo consumato dalle troppe notti che fanno della sua condizione una condanna.
Poi arriva il cinema e tira fuori titoli adeguati per ogni stagione. Dal Nosferatu di Murnau in cui è prefigurazione del nazismo, al Dracula americano che puzza di teatro, dal ciclo Hammer con i canini in bella mostra e la sua promessa di sesso e sangue ai pallidi adolescenti di Twilight che sbriluccicano di giorno e di notte sospirano la bella di turno.
Mostro polimorfico il vampiro si adatta a ogni stagione di vendemmia e cambia con il cambiare delle abitudini dello spettatore, rispondendo ai suoi bisogni più segreti. Perfetto tra le ombre dell’espressionismo e nella liberazione sessuale degli anni Settanta. Metafora ideale della crisi del Novecento come della paura della droga e dell’AIDS.
Ne Il mito di Dracula (Aracne edizioni) Edvige Gioia compie una ricognizione convincente sulla realtà del vampiro. Non solo, quindi, la creatura partorita da Stoker nelle sue varie declinazioni (come il titolo, leggermente fuorviante, parrebbe suggerire), ma una vera e propria galleria che insegue il mito dalle sue prime affermazioni folkloriche, passando per la letteratura sino, appunto, al cinema.
Del mito del vampiro l’autrice coglie, nello spazio di una trattazione sintetica consapevolmente a metà tra il bisogno di una lettura accademica e l’esigenza di un saggio divulgativo, gli aspetti più intriganti e gli elementi che, con il tempo, ne hanno definito la dimensione archetipale.
Il saggio è virtualmente divisibile in due parti. La prima è un insieme di panoramiche ad ampio raggio sul vampiro riletto alla luce di chiavi interpretative diverse. Sicché a una prima lettura in chiave antropologica e religiosa, ne segue una seconda psicanalitica che rinviene nella figura del vampiro la compresenza di patologie in qualche modo attinenti alle fasi orali e anali-sadiche individuate da Freud. La terza panoramica sorvola, con cognizione di causa, le principali affermazioni del mostro nella letteratura, dando giusto spazio sia al capolavoro di Stoker che alle pagine di Le Fanu o alla nuova ondata di romanzi della Rice, fino a sfiorare la nuova moda (ormai in fase di esaurimento) dello young adult più gotico.
La seconda parte del saggio si concentra invece sul cinema e focalizza la sua attenzione sulla lettura di alcuni film che l’autrice ritiene centrali all’interno dell’evoluzione del vampiro nelle sale. I film scelti sono i due Nosferatu (quello di Murnau e il suo “falso” remake di Werner Herzog), Miriam si sveglia a mezzanotte, di Tony Scott, Bram Stoker’s Dracula di Francis Ford Coppola, Intervista con il vampiro di Neil Jordan e The addiction, di Abel Ferrara.
Convincente nell’analisi filmica (acuta la scelta di adottare chiavi interpretative diverse a seconda della pellicola analizzata), il libro è segno di un’affettuosa consuetudine della saggista con la figura del vampiro. Una dimensione, questa, che rende la lettura insolitamente calda ed estremamente piacevole. E se l’analisi del capolavoro muto ci è sembrata leggermente datata (non si fa cenno, ad esempio, al restauro delle copie a nitrato che hanno ridato luce allo straordinario viraggio dell’opera originale a cura del Munchner Museum e della Cineteca di Bologna nel 2005 con il contemporaneo recupero di scene inedite da una copia francese conservata sotto altro titolo), il libro ci appare nel complesso affascinante e ben costruito.
In fondo Il mito di Dracula di Edvige Gioia si presta ad essere perfetto vademecum nel mondo dei vampiri (cinematografici e non). Un libro da tenere sul comodino come quello dei morti che sta nelle locande transilvane. Un utile compendio per chi è già dentro al mito e una buona bussola per chi comincia solo adesso ad esplorare la cantina più buia della nostra cultura popolare.
Autore: Edvide Gioia
Titolo: Il mito di Dracula - Dalle oscurità delle origini, ai meandri dell’inconscio al buio della sala cinematografica
Editore: Aracne
Dati: 228 pp, brossura
Anno: 2014
Prezzo: 10,00 €
Isbn: 978-88-548-6741-3
webinfo: Scheda del libro sul sito dell’editore
