INTERVISTA A FRANCO BERTINI
Il film Tutto in quella notte è diventato recentemente un piccolo caso: prodotto con pochissime risorse da Aurelio De Laurentiis ha riscosso un certo successo di critica e di pubblico...
Diciamo così... a quelli che sono andati a vederlo il film è piaciuto molto, in sala il divertimento e il livello di partecipazione è stato altissimo. E nell’insieme la critica è stata positiva. Ma sono convinto che il film meritasse di più, pensavo che una commedia così riuscita, con un gruppo di attori così bravi e affiatati (anche se ancora poco conosciuti) fosse presa maggiormente in considerazione da chi si occupa del mondo del cinema. Ma sono stati soprattutto i festival che mi hanno deluso, Venezia e Torino, che hanno snobbato il film, dimostrando a mio giudizio poca ricettività nel capire il potenziale di un’opera. È ovvio che un film del genere senza attori di “richiamo”, e un regista esordiente, ha bisogno ancora più di altri di una vetrina importante per mettere in moto un meccanismo di ufficio stampa efficace. Negare questa possibilità a un film come Tutto in quella notte, secondo me vuol dire zavorrare un film italiano ben riuscito, un masochismo che non dovremmo praticare. E che oltretutto non possiamo permetterci.
In ogni caso mi sembra che molti critici si sono espressi molto bene su questo tuo film d’esordio sottolineandone l’originalità soprattutto della sceneggiatura. Come mai hai scelto un finale destabilizzante?
Non amo la prevedibilità. Forzare l’esito scontato di una commedia credo che sia una cosa buona, basta non farlo in modo gratuito. A me come spettatore ad esempio, piace essere sorpreso, “violentato”, con intelligenza ovviamente... a maggior ragione oggi, poi, che siamo così assuefatti alla tv con i suoi codici stereotipati, le sue didascalie, almeno al cinema uno vorrebbe veder scardinare i “paletti”.
In effetti l’originalità di linguaggio comporta sempre qualche rischio e infatti non ci sono molti autori originali in Italia.... C’è una buona dose di professionalità ma manca un po’ di coraggio. Negli ultimi anni, a parte Garrone, Sorrentino e pochi altri, un certo tipo di cinema nostrano si è limitato a ricalcare stancamente le orme della vecchia commedia all’italiana; magari con un prodotto d’artigianato ottimamente fatto ma privo di guizzi...
Un po’ come il manierismo sta a Raffaello, insomma. Si, Penso che i nostri autori e registi “se la giochino poco”, forse è anche per questo che in molti notano una certa involuzione del cinema italiano rispetto ai cosiddetti “anni d’oro”.
In effetti di menti straboccanti di inventiva ce ne sono poche all’orizzonte...
Ma è importante sottolineare che la colpa non è solo degli autori: come ho già spiegato la responsabilità dell’involuzione del cinema, purtroppo, alberga anche altrove.
Ritornando alla commedia, proprio questo è l’ambito in cui si sono registrate poche novità sia nei temi che nello stile. Il tuo prossimo film sarà una commedia?
Sì. Si intitolerà Sessantanove prima, ed è la storia di un videomaker per hobby, maltrattato da un critico cinematografico per hobby, sulle pagine di un gazzettino di quartiere.
[novembre 2004]