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Intervista ad Angelica Tintori - autrice de I dioscuri della notte e The dark screen

Pubblicato il 20 gennaio 2011 da Alessandro Izzi


Intervista ad Angelica Tintori - autrice de I dioscuri della notte e The dark screen

Abbiamo incontrato Angelica Tintori presso lo Stand Gargoyle alla Fiera della piccola e media editoria di Roma.
La saggista ha un piglio simpatico e deciso mentre accarezza, forse con una punta di nostalgia, gli argomenti del libro che ha scritto a quattro mani con Franco Pezzini I dioscuri della notte, un’intrigante monografia sulla splendida coppia cinematografica formata di Christopher Lee e Peter Cushing. Eppure Angelica Tintori non è una fan della prima ora. Al cinema ci arriva attraverso percorsi diversi fatti di studio e di una passione che era stata lontana dai toni Hammer del cinema di mostri e di vampiri. La sua, quindi, non è la passione del neofita, ma la fermezza del fresco convertito che sa trovare spazio di distacco e giusta misura tra affetto e scienza. Un vantaggio per chi legge e per chi ascolta: poca partigianeria condita con un pizzico di sana nostalgia. Non si potrebbe chiedere di meglio per chi ha scritto di due gentiluomini inglesi che tanto hanno dato alla storia del cinema.
Il Palazzo dei congressi ovviamente è gremito. La confusione regna sovrana. Qualche avventore ogni tanto si ferma allo stand e chiede informazioni sui tre volumi di Varney il vampiro o suoi dvd disposti nell’espositore. Il chiacchiericcio intorno è costante senza essere troppo fastidioso. Verrà presto dimenticato, soffocato dagli argomenti in primo piano.

Intanto possiamo cominciare a raccontare un poco questo libro che viene subito dopo The Dark screen

Si, in effetti "subito dopo" è la formula giusta. Nel senso che ci siamo presi appena un paio di mesi di riposo e dopo siamo partiti. Abbiamo discusso sulle varie idee che ciascuno di noi aveva (eravamo tre: Franco, io e Paolo De Crescenzo) e alla fine abbiamo deciso di imbarcarci in questa cosa. Alla fine devo dire che il primo motivo di contentezza è stato, da subito, molto prosaico perché invece dei mille e più film che abbiamo dovuto visionare per The Dark screen qui bisognava vederne venticinque al massimo. Questo ci permetteva, visto che i tempi di stesura sono rimasti più o meno gli stessi, di realizzare un lavoro più compatto. Abbiamo lavorato in una maniera un poco diversa rispetto al primo libro. Si potrebbe dire, in effetti, che abbiamo lavorato per accumulo. C’è stata, con l’esclusione del primo capitolo che è biografico, dapprima una stesura preliminare di Franco e poi un complesso lavoro di riscrittura volto a trovare la forma definitiva. In The Dark screen, invece, avevamo operato una distinzione dei compiti e dei capitoli più precisa.

Andando più nello specifico: che tipo di collaborazione instaurate visto che venite da due ambiti così diversi? [Franco Pezzini viene da studi antropologici e religiosi, mentre Angelica Tintori esce dal DAMS di Bologna, N.d.A.]

Bisogna cominciare col dire che noi non ci conoscevamo prima di iniziare la nostra collaborazione. È stato Paolo a farci conoscere. Io e Paolo ci conoscevamo da tempo ed io avevo già fatto svariate cosine in ambito cinematografico. Paolo un giorno mi ha chiesto: “Ti va di conoscere questo tizio?”. Ci siamo conosciuti. Ci siamo messi a chiacchierare e la cosa che saltava agli occhi era che eravamo assolutamente diversi, sia umanamente che professionalmente. Franco è laureato in diritto canonico e si occupa di pubblicazioni di carattere giuridico per la UTET. Ha una famiglia, dei ragazzi molto simpatici ed una casa degna di lui, cioè piena di carte, di libri, di cose scritte da lui. Franco, poi, come Paolo credo, è appassionato di genere dall’infanzia. Io, no. Sono appassionata di cinema, di serialità televisiva, di comunicazione, ma il genere l’ho scoperto con loro. Da questo incontro è nata l’idea di raccontare, ma senza far scendere le cose dall’alto, senza fare i togati. Un’idea che si esprime soprattutto nel linguaggio e nelle forme della comunicazione. Qui poi c’erano parecchie storie interessanti che si incrociavano. Le due persone protagoniste di queste storie, persone che ho scoperto anche attraverso due biografie uscite in inglese (più concisa quella di Cushing, molto diffusa e dettagliata, invece, quella su Lee) sono persone di grande ricchezza intellettuale e anche umana. La storia della loro grande amicizia si interseca con quella della Hammer, nel suo periodo d’oro e non solo in ambito horror. Io sto raccontando a tutti di quanto sono entusiasta di aver potuto rivedere Il mastino dei Baskerville che ricordo mi piacque molto quando lo vidi la prima volta, ma che, a differenza di tanti altri film, regge ancora bene il tempo passato. Ed è anzi stato forse l’unico film che ho rivisto da cima a fondo (si sa, quando si scrive, non è che uno si guardi per intero la pellicola, spesso si selezionano solo le parti utili al discorso) con una gioia incredibile. Sono passati più di cinquanta anni e funziona ancora perfettamente da qualsiasi punto di vista lo si guardi. Quello che colpisce dei film Hammer è la loro capacità di raccontare il mondo che cambiava intorno a loro: l’Inghilterra della seconda guerra mondiale che comincia ad uscire dalla grande sofferenza della guerra e comincia a cambiare, ad abbandonare le rigidità e i costumi di una cultura ancora neovittoriana e comincia quel pizzico di rivoluzione sessuale che poi si incarna in metafore horror più o meno evidenti. Insomma tutto un percorso che dagli anni ’50 arriva fino all’inizio degli anni ’80, praticamente alla morte di Cushing. Con una curiosa inversione dei ruoli: all’inizio Cushing era il più importante dei due (e anzi Lee si lamenta con Cushing stesso del fatto che non gli fanno dire una battuta) e poi le cose cambiano e Lee diventa sempre più importante.

Parlare di Lee e Cushing significa in una certa misura parlare anche di Terence Fisher, il terzo lato del triangolo dell’horror inglese. La prima cosa stupefacente che viene in mente è la contraddizione tra arte e vita: i film che producevano erano horror ad alto tassi di violenza, ma spente le macchine da presa erano le persone più tranquille del mondo…

È vero. Molti definiscono Fisher, in maniera dispregiativa, un artigiano Ma che artigiano! Qualsiasi cosa facesse, con i mezzi con cui la faceva (e parliamoci chiaro anche negli anni d’oro, quando questi film hanno cominciato a fare soldi sulla base di un meccanismo da Studio che ora sembra sia tornato in auge anche se la nuova Hammer mi sembra abbia assai poco a che spartire con la vecchia) rivelava un’ingegnosità sorprendente. E al di là della trovata d’ingegno a parlare è oggi il fatto che i loro Dracula e i loro Frankenstein (per quest’ultimo era necessario un trucco di ore del quale Lee si lamenta molto) sono entrati di diritto nell’immaginario di due generazioni.

Il libro si concentra solo sul periodo Hammer o segue altre piste?

No. Siamo andati avanti. E abbiamo guardato anche indietro. Abbiamo cominciato col seguire le loro storie personali fino al loro incontro e al loro sodalizio. Di lì in poi abbiamo analizzato grosso modo in ordine cronologico (qualche volta ci possono essere delle piccole anticipazioni, ma poca cosa) la loro storia assieme. Quindi abbiamo fatto un po’ la storia dell’horror visto che insieme hanno toccato quasi tutte le figure archetipiche dell’horror occidentale. Poi, ci siamo concentrati anche su tante piccole forzature anche molto divertenti: i due hanno lavorato insieme in Star wars anche se non negli stessi episodi, compiano entrambi in distinte puntate di Spazio 1999 e la stessa cosa accade in Agente speciale. Insomma ci siamo dilettati parecchio su queste cose.

Passiamo ad una domanda più teorica che ci chiarisca il vostro approccio alla materia. Parlare di cinema significa scrivere in assenza di immagine. Come vi siete mossi per riempire questo vuoto? Avete descritto minuziosamente le inquadrature che vi servivano, coi loro colori e movimenti? Oppure avete preferito un approccio più astratto lavorando sul solo meccanismo narrativo?

Mah! Ci si prova a tratti a fare descrizioni accurate. Solo quando strettamente necessario ai fini del discorso. Farlo sempre sarebbe improponibile. Per il nostro libro ci avvaliamo, comunque, di un apparato iconografico. Sono gli unici libri della serie, per adesso, a godere di ciò. Certo servono solo a dare dei flash, a risvegliare la memoria del lettore. Direi che, per riassumere, si potrebbe dire che noi ci si sofferma più sugli aspetti visivi e tecnici e formali soprattutto quando c’è da rilevare particolari influenze pittoriche (io ci ho provato a buttar lì un paio di cose in questo senso) o quando c’è una particolare valenza emozionale che merita di essere messa in risalto. Non ci interessa comunque il decoupage a posteriori come quelli che facevo ai tempi dell’università (ricordo che Casetti ce ne faceva fare tanti) descrivendo la tipologia delle inquadrature e i legami che esse intrattenevano tra loro. Non è semplicemente l’orizzonte di indagine del libro.

Lee e Cushing avevano particolari rapporti con le maestranze, i tecnici o i vari direttori della fotografia dei loro film?

Avevano, in effetti, rapporti abbastanza stretti con le maestranze, soprattutto con truccatori e costumisti anche perché, come è immaginabile, gli attori fanno attenzione soprattutto a queste cose. Loro cercavano sempre di fornire nuove idee per sviluppare i personaggi, sempre senza sovrapporsi per ragioni divistiche. Anzi, a parte il caso della lamentela di Lee che diceva di non avere molte battute e che raccontavo prima (la storia completa è che quando Lee lamentò di aver poco da dire Cushing credo gli rispose “Beato te!”), in realtà l’unica preoccupazione di tutti e due era quella di essere quanto più possibile funzionali alla riuscita del film. Infatti mi spiace un po’ che, nell’ultimo periodo, Lee si riveli così restio a parlare dei suoi trascorsi Hammer, quasi che cominci a considerarli, dopo che tanti glielo hanno ripetuto per anni, come un periodo di serie B della sua carriera. Forse è l’unico momento di “ingratitudine” che si può imputare a questi personaggi. Continua, però, a parlare volentieri del suo amico Cushing. Del resto la loro amicizia è davvero proverbiale. È nota la storia che quando Cushing rimase vedevo ed era sul punto di rinunciare ad un film che doveva interpretare proprio con Lee, furono proprio l’affetto di Lee e della sua famiglia a farlo sentire in grado di lavorare e di andare avanti.

Tra due mesi un altro libro?

No. Assolutamente no. Anche perché io mi sono presa degli impegni come editore per cui da fare ce n’è. Franco non so se farà un’altra cosa in tempi relativamente brevi. In tempi più lunghi probabilmente si. Ma abbiamo bisogno di riposarci tutti. L’anno prossimo ci sarà un libro di Danilo Arona, con altri due ragazzi e sarà quello il progetto Non Fiction della Gargoyle per il 2011. Il resto è ancora da vedere.

Dicembre 2010

Per approfondire:
La recensione di Close Up del libro THE DARK SCREEN. IL MITO DI DRACULA SU GRANDE E PICCOLO SCHERMO

La recensione di Close Up del libro VARNEY IL VAMPIRO - IL BANCHETTO DI SANGUE

La recensione di Close Up del libro VARNEY IL VAMPIRO - L’INAFFERRABILE


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