La buona uscita

La buona uscita è l’opera prima di Enrico Iannaccone, regista classe 1989, vincitore del David di Donatello nel 2013 con il cortometraggio L’esecuzione.
Il film, prodotto da Mad Entertainment, IK Media e Zazen Film con il contributo del Mibact, e presentato in anteprima a “Capri, Hollywood”, è un’opera che si colloca al di fuori di qualsiasi moda o tendenza del cinema commerciale. Il rifiuto delle convenzioni non è dettato dalla povertà dei mezzi e da un budget ridotto, ma è il risultato di una scelta precisa di stile e di sguardo del giovane regista.
Al centro del cinema di Iannaccone c’è ancora una volta Napoli, la sua città natale, il luogo che molti artisti partenopei odiano e amano visceralmente allo stesso tempo.
Se con L’esecuzione ci addentravamo in un mondo violento e crudele, fatto d’istinti primordiali e di rabbia, nella Napoli resa famosa da Gomorra per intenderci, con La buona uscita ci spostiamo esattamente sull’estremo opposto della scala sociale, quello di una ricca borghesia napoletana strafottente, egoista e cinica, che vede nel trascorrere del tempo l’unico limite alla propria libertà. Ma in entrambi i casi siamo di fronte a un’umanità che si muove con disinvoltura al di fuori delle regole della morale, in un mondo dove non hanno nessun valore l’amore e i rapporti affettivi, in nome di una libertà che però non gli è concessa, perché sono marionette mosse da un sistema sociale inesorabile.
I protagonisti del film inseguono la libertà come ideale supremo, ma alla fine sono preoccupati soprattutto di garantirsi “una buona uscita”. Da un lato c’è Lucrezia Sembiante (Gea Martire), una donna sulla sessantina, fiera della sua reputazione di ninfomane, che decide di sposare un uomo più giovane di lei che non ama, perché la solitudine e la vecchiaia iniziano a farle paura; dall’altro c’è Marco Macaluso (Marco Cavalli), amante storico di Lucrezia, uomo senza scrupoli che sta organizzando il fallimento per bancarotta fraudolenta della sua società e accetta con fatica l’idea che la sua amica voglia abbandonare la sua indipendenza per restare fedele al neo-marito.
La prima scena, tra le più belle e riuscite, racchiude il senso del film, le sue metafore e le sue contraddizioni: Macaluso gioca con un piccolo yacht telecomandato sulle acque di una fontana ornamentale all’interno di un elegante palazzo, alle sue spalle una Napoli fatiscente e grigia, dove non splende mai il sole e non si vede mai il Vesuvio.
La scelta stilistica di Iannaccone di utilizzare lunghi piani sequenza, invece di conferire all’opera un effetto di realismo e di aderenza alla realtà, provoca un senso di straniamento, creando una dimensione in cui il tempo sembra non esistere. Esiste solo la parola. I dialoghi interminabili e barocchi riempiono lo spazio con la teatralità della lingua napoletana, e alla fine si finisce per perdere il senso di quello che viene detto per rimanere avvolti costantemente dal suono e dall’esercizio virtuosistico della parola.
Il cibo, esibito con voluttà dalla macchina da presa, rappresenta forse l’unica vera forma di vita e di piacere del film. I corpi non si toccano mai, il piacere carnale resta un aspetto concettuale, mai tradotto in immagine, astratto e cerebrale, così come la violenza e la crudeltà.
Iannaccone, con uno stile anti spettacolare e un impianto visivo volutamente sciatto, che ricorda il cinema di Ferreri, realizza una commedia che non è una commedia, un dramma grottesco senza tragedie, ostentando il suo essere al di fuori delle facili logiche del giovane cinema italiano.
(La buona uscita); Regia e sceneggiatura: Enrico Iannaccone; fotografia: Umberto Manente; montaggio e musica: Enrico Iannaccone; interpreti: Marco Cavalli, Gea Martire, Andrea Cioffi, Enzo Restucci; produzione: Mad Entertainment; distribuzione: Microcinema; origine: Italia, 2016; durata: 97’
