La cittadella

Rarissimo esempio di fiction non soporifera di produzione italiana, La cittadella si lascia apprezzare per la sua capacità di non annoiare mai fino in fondo la platea televisiva. Incredibilmente lo spettatore si trova di fronte ad un prodotto che non solo non avanza stancamente da una puntata all’altra (e sono ben quattro), ma che, anzi, riesce a tener desta la sua attenzione e la sua curiosità. Il minimo sindacale per un prodotto anche solo vagamente dignitoso è stato, quindi, rispettato e c’è da essere grati agli autori per essere riusciti a donarci qualcosa che, per una volta, non è stato doloroso vedere fino alla fine. Detto questo resta, però, da rimarcare il fatto che i motivi di interesse di questo prodotto rischiano, purtroppo di esaurirsi tutti in una semplice, piana e discreta carica affabulatoria attualizzata in un progetto estetico che fa del racconto puro e semplice il suo unico punto di forza e la sua sola ragion d’essere. Un po’ poco ad essere sinceri, anche se questo poco passa tra le fila di una narrazione aggraziata e molto demodé. Il modello inarrivabile che gli autori sembrano sempre avere davanti agli occhi è, in effetti, quello dei vecchi sceneggiati televisivi di cui la RAI sembrava essere unica detentrice in non troppo lontani tempi d’oro. Un modello che, rinunciando quasi aprioristicamente ad ogni forma di riflessione puntava tutta la sua efficacia su di una sceneggiatura dettagliatissima (spesso troppo in un racconto che denunciava eccessive ascendenze teatral romanzesche in un franco disinteresse per quelle che potevano essere le potenzialità espressive del mezzo televisivo) e su un novero di attori funzionali esclusivamente ad una messa in scena di incredibile linearità (laddove essa non diventava risibile ovvietà). Con scenari che conservavano sempre un sapore squisitamente teatrale, con una fotografia spoglia e puramente funzionale alla disposizione delle varie macchine da presa, questi prodotti di solido artigianato si facevano apprezzare per il loro gusto elementare e privo di grandi ambizioni autoriali. Essi erano, in fondo, un campo fertile di immagini che avevano un senso ben preciso all’interno del panorama sociale (quell’Italia da educare, da alfabetizzare) che li aveva visti nascere. Oggi come oggi, un’operazione come quella portata avanti da Costa che, consapevolmente, si rifà a quel modello narrativo allora tanto in voga, non può avere che il senso di una specie di operazione nostalgia piacevole, ma, al fondo inutile. Inutile perché l’immaginario televisivo della nostra penisola, ormai svezzato da ben altre forme di intrattenimento, non sa più che farsene di una storia e di un modo di raccontarla così abbondantemente stagionato. Se La cittadella ha goduto di un certo successo nella programmazione RAI, questo si è consumato prevalentemente all’interno di uno strato sociale certo ampio, ma in sostanziale via d’estinzione. Il romanzo sottilmente autobiografico di Cronin da cui il regista ha tratto ispirazione diventa, in questo modello di esemplificazioni, struttura ideale per uno schema narrativo la cui semplicità può avere senso solo per un pubblico che ormai non esiste quasi più. Ambientato in Inghilterra senza che dalle immagini traspaia neanche l’odore dell’Inghilterra, la fiction prevede una prima puntata che serve a presentarci tutti i personaggi (il dottor Manson, la sua futura moglie, il suo amico del cuore ecc.), una seconda a narrarci lo scontro del protagonista con le storture della politica, una terza ed una quarta a descriverci il suo impatto con la grande città, il metodo scientifico con cui questa lo ammalia, facendogli perdere di vista i propri valori, e il modo, doloroso, in cui questi ultimi vengono, alla fine recuperati. Tutto messo in bella fila, tutto raccontato con dovizia esemplificativa attraverso i luoghi comuni di una sostanziosa tradizione romanzesca, tutto tristemente inerte. Il vecchio sceneggiato di Anton Giulio Majano con Alberto Lupo resta, sullo sfondo, un ricordo delizioso per un’operazione che non vuole esserne certo un remake nella sostanza, ma che lo è nello spirito.
(La cittadella); regia: Fabrizio Costa; soggetto e sceneggiatura: Salvatore Basile; fotografia: Adolfo Troiani (A.I.C.); montaggio: Cosimo Andronico; musica: Stefano Caprioli; interpreti: Massimo Ghini, Barbora Bobulova, Franco Castellano, Juraj Rasla, Frantisek D. Stanek, Anna Galiena; produzione: RAI Fiction, Titanus, De Angelis, Victory Media Group
messa in onda: 2, 3, 9 e 10 marzo 2003; rete: RAI UNO; orario: 21:00 circa
[marzo 2003]
