Le vie del cinema da Cannes a Roma

È davvero uno sguardo attento alla 65° edizione del Festival quello proposto dalla selezione Le vie del Cinema da Cannes a Roma, che si terrà dall’8 al 14 giugno nelle sale Eden, Giulio Cesare e Adriano.
Un percorso più per viaggiatori che per turisti del cinema, data l’attenzione attribuita a due sezioni collaterali della manifestazione come la Quinzaine des Realisateurs e la Semaine de la Critique rispetto al Concorso. Che pure è presente nelle sue diverse anime, tra l’indie americano di Wes Anderson, finalmente approdato sulla Croisette dopo il veneziano Treno per Darjeeling, con Moonrise Kingdom, film indicativo di un percorso autoriale sempre più netto, e la tradizione francese rappresentata da una delle firme più prestigiose del cinema d’oltralpe. Sarà infatti proiettato l’atteso De rouille et d’os di Jacques Audiard, di nuovo a Cannes dopo l’acclamato Il profeta, che torna con un potente mélo costruito attorno ai corpi dei due protagonisti, tra cui spicca la diva Marion Cotillard, con una rielaborazione personale e piegata alla propria poetica dell’omonima raccolta di racconti del canadese Craig Davidson.
E non potevano poi mancare i due nomi che proprio il Festival di Cannes ha contribuito a far salire alla ribalta internazionale, insignendoli della Palma d’Oro: il romeno Cristian Mungiu – vincitore nel 2007 con 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni – di cui viene presentato in anteprima Beyond The Hills, premiato per la miglior sceneggiatura e le migliori attrici da Nanni Moretti e compagni, e l’austriaco Michael Haneke, che ha addirittura bissato la Palma d’Oro del 2010 per Il nastro bianco con il nuovo Amour, interpretato da due leggende del cinema francese come Emmanuelle Riva e Jean-Louis Trintignant.
Se questo è il piccolo ma gustoso corpus delle opere in Concorso parecchie sorprese riservano le opere di Semaine de la critique e Quinzaine des Realisateurs, che monitorano cinematografie lontane pressoché invisibili sui nostri schermi: dal romanzo di formazione di Une famille respectable dell’iraniano Massoud Bakhshi a quello inglese di Sightseers di Ben Wheatley; dal remake delle Liaisons dangereuses di Choderlos de Laclos, ambientato da Jin Ho Hur nella Cina degli anni Trenta minacciata dalla guerra, a racconti privati che si snodano all’ombra di eventi tragici, come il terrorismo di Le Repenti e Infancia clandestina o la guerra di La Sirga.
Infine attenzione particolare va prestata a quegli autori che per blasone non avrebbero sfigurato nel Concorso ma la cui collocazione nella Quinzaine illumina sull’importanza attribuita alla sezione: parliamo di Noémie Lvovsky, attrice e regista comparsa recentemente – come fosse un nume tutelare – in alcune delle opere più belle del cinema francese (da L’Apollonide di Betrand Bonello a 17 Ragazze delle sorelle Coulin), che torna in veste di autrice con un nuovo delicato ritratto femminile, quello di Camille Redouble.
Ma soprattutto Michel Gondry, una delle figure più trasversali del cinema (non solo più) francese, in grado di rivoluzionare videoclip e videoarte, dedicarsi al documentario (con l’autobiografico L’épine dans le coeur ispirato alla figura della zia Suzette) e inserire poi questi linguaggi in un cinema di fiction sempre più ibrido e stratificato. In The We and the I racconta, appunto, l’intersecarsi di collettività e individualità attraverso l’osservazione di un gruppo di ragazzi su uno scuolabus nell’ultimo giorno di lezioni, prima delle vacanze estive.
Particolarmente intimista il programma della Semaine de la critique: oltre alle storie più minimaliste come quella di Un dimanche matin, la selezione offre fugaci frammenti di storie d’amore, destinate a consumarsi tra brevi fiammate e repentine separazioni, partenze.
Ritratti privati uniti però da un fil rouge che consegna un’immagine ben precisa del nostro tempo.

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