X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Libri - Georges Méliès

Pubblicato il 12 luglio 2009 da Alessandro Izzi


Libri - Georges Méliès

Non si può capire il cinema di Georges Méliès se non lo si colloca nel contesto culturale che lo ha visto nascere. Sembrerà una considerazione scontata, ma Paolo Cerchi Usai, nel licenziare la sua splendida monografia dedicata al pioniere del cinema francese ed ora riedita con corposi aggiornamenti per i tipi de Il Castoro, sa perfettamente che è proprio dalle cose apparentemente scontate che bisogna partire per andare oltre, per aprire all’indagine critica scenari autenticamente “altri” e strade mai battute.
Vedere Méliès oggi, con la lente dello storico e quella del critico, significa liberare i propri occhi dalle incrostazioni di una visione sin troppo “infantilizzante” del suo cinema. Bisogna smettere le vesti del cinefilo che guarda le sue immagini con lo stesso inebetito stupore con cui i turisti scoprono i graffiti nelle caverne e cominciare a grattare sotto i fotogrammi in cerca delle idee, dei pensieri oltreché degli orizzonti sempre più aperti della ricerca tecnica.
Perché Méliès è stato in tutto e per tutto cantore del suo tempo, espressione accorata di un secolo vecchio che si scioglieva, non senza contraddizioni, nel nuovo. Tra le pieghe delle sue pellicole ci si colgono gli estremi rimpianti per la fine dell’ideale enciclopedico con la lenta agonia del sogno positivista (lo stesso che aveva portato all’invenzione del cinema) e i primi barlumi di un pensiero nuovo, di un mondo che presto si sarebbe imbarcato nell’orrore di due guerre globali. C’è l’eco di Freud che scopriva quanto ci fosse sotto la superficie delle nostre coscienze (e non sono pochi i sogni ad occhi aperti girati da Méliès) e i primi contraccolpi culturali prodotti dall’impatto della teoria della relatività di Einstein.
C’è, in fondo, l’aggirarsi spaesato di chi non sa bene come comportarsi con la vertigine prodotta dalla corsa troppo veloce della giostra del cambiamento. Perché non si capiva bene allora (ma non lo si capisce bene neanche adesso) se la scienza dovesse essere considerata come l’apportatrice di grandi progressi o la fonte di infinite sciagure. Ed è per questo che i razzi diretti sulla luna o i palloni che corrono verso i poli hanno quel candore del giocattolo e sembrano fatti della stessa sostanza dello stupore.
A guardarli oggi, i capolavori del regista francese, coi loro mostri un po’ goffi ed un po’ terribili, coi loro trucchi da baraccone delle fiere, con la loro ingenuità apparente, ci si presentano con l’ingombrante patente del candore fanciullesco. Sono piccoli innocui incubi della ragione che terrorizzano dalla distanza rassicurante del “C’era una volta" delle favole. Il loro atteggiamento nei confronti della scienza è bifronte e venato di feconda ambiguità. Ci leggi tutta la passione di un Verne redivivo (che, al volgere del secolo guardava al passato col pensiero che il futuro non potesse essere tanto diverso, forse migliore), ma anche tutte le ansie di un Wells che sentiva il bisogno di interrogarsi sull’etica del progresso. I due sguardi opposti dei più grandi narratori fantastici del suo tempo (con cui condivideva la passione per i viaggi spropositati ed impossibili), Méliès preferiva, però coniugarli all’infinito della favola: una distanza che addolcisce i toni dell’avventura e mette tra parentesi le paure per il futuro.
Le sue visioni ortogonali sul mondo (sempre e solo inquadrature statiche su set inquadrati frontalmente) si fondevano con la prima vera intuizione che il cinema è fatto prima di tutto di Tempo. E nel desiderio di scolpirlo questo tempo, non si tirò indietro a nessuna forma di manipolazione: dal ralenti alle accelerazioni, dai bruschi stacchi di montaggio antenati degli effetti speciali, alle inversioni. Il tempo è, per Méliès, la più fluida delle entità in un discorso che magnificava contraddicendola la contemporanea riflessione filosofica di Bergson.
Paolo Cerchi Usai rintraccia tutti i fili sparsi che costituiscono i motivi segreti del cinema meliesiano restituendocene un ritratto vivido e fedele. Soprattutto ricrea per noi lo spirito pionieristico delle sue opere, ci fa sentire il rumore delle carrucole che animavano i suoi mostri o l’odore caldo delle luci che illuminavano i suoi set. Uno dei più bei castorini di sempre.


Autore: Paolo Cerchi Usai
Titolo: Georges Méliès
Editore: Il Castoro
Collana: Cinema n°107
Dati: 176 pp, 170 illustrazioni b/n, formato 15x16,5 cm
Anno: seconda edizione aggiornata 2009
Prezzo: 11,90 €
webinfo: Scheda libro sul sito Il Castoro


Enregistrer au format PDF