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Libri - Gli archivi di Dracula

Pubblicato il 22 marzo 2010 da Alessandro Izzi


Libri - Gli archivi di Dracula

Strana figura quella di Raymond Rudorff.
Nato nel 1933, fu storico e giornalista di discreta fama internazionale anche se il suo nome resta per sempre ancorato a piccole cerchie di intellettuali e di topi da biblioteca.
Noto in Spagna per un attento saggio sull’assedio di Saragozza e in Francia per un saggio dal suggestivo titolo The myth of France, visse diversi anni in Italia dove potè trovare ispirazione per uno dei suoi quattro romanzi: Complotto a Venezia, edito dai tipi di Sonzogno nel 1977.
Ed è già in questa prima notazione bibliografica che si ravvisa la prima di una serie di strane coincidenze che legano, almeno in Italia, il nome di questo autore al vampirismo (in generale) e al romanzo Dracula di Bram Stoker (in particolare). Furono, infatti, proprio i tipi della Sonzogno a dare alle stampe la prima traduzione italiana (scorciata in più parti per entrare in centonovantasei pagine) del capolavoro gotico dello scrittore irlandese.
Gli addetti ai lavori più attenti ricorderanno poi (come fa anche Gianfranco Franchi nella postfazione al presente volume) che Rudorff ebbe il privilegio di tradurre in inglese Il vampiro, un romanzo del 1965 a firma di un’italiana oggi poco ricordata: Ornella Volta.
Il mito del vampirismo si intreccia più volte nelle poche notazioni biografiche relative all’esistenza di questo gentiluomo inglese d’altri tempi morto nel 1992. Anzi le fonti sono così avare che ci vien facile avanzare ipotesi romanzesche circa la reale identità di uno scrittore che è stato così incredibilmente capace di riunire insieme la passione per le materie storiche e l’amore profondo per le storie orrorifiche, per i miti folklorici e per i brividi letterari.

A leggere Gli archivi di Dracula si resta prima di tutto impressionati per il forte bisogno, che traspare ad ogni pagina, di un ritorno alle origini più vere del mito vampirico letterario.
Il romanzo esce, infatti, nel 1971 un periodo in cui la mitologia vampirica era in piena decadenza sia al cinema che tra le pagine dei libri. Appena un anno dopo l’uscita di questo pregevole romanzo la Hammer segna la finale decadenza del mito del conte sanguinario con due film che tentano, in extremis, di riverdirne i fasti passati: 1972: Dracula colpisce ancora! e, il di appena due anni successivo I satanici riti di Dracula. Entrambe le pellicole si segnalano, al di là dei non notevoli meriti artistici, per la volontà di aggiornare l’orrore draculesco ai tempi moderni e, in particolare, alla moda per i riti satanici avviata, qualche anno prima, dall’uscita di Rosemery’s baby di Polanski. L’idea era quella di far aggirare il conte transilvano tra gli orrori della società contemporanea, facendogli fare qualche puntatina in discoteca e qualche passeggiata per le vie notturne di un’Inghilterra che sperimentava con interesse nuove droghe e nuove forme di delinquenza giovanile. In questo contesto di liberalizzazione della sessualità il vampiro non aveva troppi problemi a reperire carne fresca e disponibile al piacere di un bel morso sul collo.
La Hammer assumeva, in queste pellicole, una dimensione censoria che, forse sempre presente, era, però stata meno evidente nei primi film della sua serie vampirica. L’horror diventava un comodo escamotage per uno sguardo retrivo e conservatore su una società che andava trasformandosi in maniera irreversibile.
Inutile dire quanto spaesata apparisse la creatura nata dalle doti interpretative di Christopher Lee in un siffatto contesto. E inutile rimarcare quanto apparisse mortificata la mitologia del vampiro in un mondo che non riconosceva il fascino delle sue origini zingaresche e l’ambiguo timore delle sue spiccate doti ipnotiche e dell’innato dominio sessuale che era in grado di esercitare sulle proprie vittime.

A questi elementi si ricollega Gli archivi di Dracula che non si limita a riprendere dal romanzo stokeriano la struttura epistolare, ma ricerca, a livello stilistico, la stessa prosa ricca e suadente, lo stesso gusto per la descrizione minuta, la stessa ambiguità di fondo a metà tra fascinazione e ributtanza.
Raymond Rudorff, del tutto estraneo alle mode del momento che preparavano la strada alla definitiva smitizzazione del vampiro che sarebbe giunta a compimento appena pochi anni dopo nelle pellicole di Carpenter e Rodriguez, riporta il mito alle sue origini e compone un pastiche narrativo che è un prequel al romanzo di Bram Stoker, ma anche una riflessione accorata sui meccanismi narrativi che hanno reso intramontabile il successo letterario del libro di partenza.
Il suo romanzo, dalla costruzione stranamente dicotomica che stacca il destino dei padri (Adelaide e Conrad vittime entrambe del nefasto influsso di un revenant) da quello dei figli (Stephen ed Elizabeth colpevoli complici del ritorno in forze del vampiro stokeriano), si compone di molteplici suggestioni letterarie, ma anche cinematografiche.
E’ squisitamente cinematografico, ad esempio, l’inizio goliardico coi tre giovani che penetrano nel castello e risvegliano l’antica maledizione col loro stesso sangue: un topos narrativo fin troppo usurato al cinema, ma che qui ha una sua grazia spaventosa.
Sono, invece, più circostanziate altre allusioni ed altri suggerimenti: il casato dei Sandor, qui protagonista estremo, allude alla figura mitica di quel padre Sandor che avrebbe ucciso Dracula nel primo sequel targato Hammer di Horror of Dracula; il piccolo Stephen ha le fattezze narrative di un classico Dr Frankenstein alla Fisher e si potrebbe continuare a lungo.
Al di là dell’infinita ridda di possibili citazioni, il romanzo colpisce per la sua struttura calibrata su un preciso gioco speculare di personaggi che rivivono al presente vicende già accadute ad altri nel passato dando all’intero racconto un’aura di predestinazione che ben si addice ad un romanzo che vuole essere prequel di uno dei libri più famosi del mondo. Ecco allora che ad una prima parte fondata sulla tragica storia di una coppia si sussegue una seconda costruita, proprio come la prima parte di Dracula, su due coppie di cui una sposata e l’altra dilaniata dall’infezione vampirica (il matrimonio come sacramento in grado di opporsi alla tentazione del vampiro è argomento ancora poco analizzato dai commentatori).
Rudorff costruisce il suo romanzo mimando lo stesso poderoso crescendo narrativo del suo diretto predecessore, ma il suo racconto segue una direttiva diversa rispetto al modello perché in esso il male è più sfuggente ed ambiguo e stenta ad incarnarsi in un mostro facilmente riconoscibile. Stephen non è ancora Vlad l’impalatore e, in qualche modo, pur avendone le doti seduttive e la ferrea volontà, non ha ancora alle spalle tutto l’orrore di cui era stato capace di macchiarsi il terribile conte. Forse, trattandosi di un prequel, è una conditio sine qua non.


Autore: Raymond Rudorff
Titolo: Gli archivi di Dracula
Editore: Gargoyle books
Dati: 264 pp, brossura
Anno: 2009
Prezzo: 13,50 €
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