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Libri - Harry Potter al cinema

Pubblicato il 17 novembre 2010 da Alessandro Izzi


Libri - Harry Potter al cinema

Dal romanzo al film ce ne passa di strade!
E non è che siano tutte belle ed asfaltate come litoranee che affacciano sul mare tra curve discrete e lunghi rettilinei. Spesso, anzi, ci sono sterrate che si inerpicano faticosamente per percorsi che solo i muli affrontano con l’incoscienza dei loro paraocchi. Altre volte gallerie nascondono il percorso agli elicotteri che, dall’alto, tentano di monitorare lo stato del traffico.
Dalle parole alle immagini il percorso è lungo e spesso incongruo. In linea d’aria la meta sembra ad un passo, ma la resistenza del terreno obbliga i costruttori di strade a tornare sui propri passi, a girare per tornanti che salgono o scendono senza apparenti motivi.
I libri della serie di Harry Potter, come ci dimostra agilmente Valentina Oppezzo, sono già cinema direttamente sulla carta. Le lunghe descrizioni degli ambienti, la precisione millimetrica della prosa babbana, gli ammiccamenti ad un immaginario già abbondantemente formato nella coscienza dei lettori che crescono col personaggio, di anno in anno, hanno già il sapore del cinema, solleticano la fantasia di un lettore che pensa per immagini e non per astrazioni e convenzioni narrative. Anche la scelta di definire i racconti secondo la limpida strategia di una narrazione lineare, con personaggi abbondantemente orientati e intimamente coerenti (elementi questi che si fanno sfuggenti solo dal terzo libro della serie in poi) rientrano in una logica squisitamente cinematografica prima ancora che letteraria. Naturale, quindi, che il cinema si sia accorto subito dell’estrema vendibilità del prodotto Harry Potter ed abbia immediatamente sognato la trasposizione cinematografica.
Ma dalla pagina allo schermo succedono cose strane, arcane, inesplicabili. Accade, per esempio, che all’autore unico dei romanzi (J. K. Rowling) si sostituiscano più registi che si danno il cambio, di episodio in episodio, come i corridori di una gara di staffetta.
Accade che le strategie di marketing si evolvano e che la gara al merchandising implicita nella dimensione del racconto per famiglie dei primi due capitoli, si muti nella promozione più pulita dell’horror puro dell’ultimo film di prossima uscita nelle sale splittato in due pellicole distinte.
Accade poi che crescano gli attori, che invecchino i personaggi, e che anche muoia qualche compagno di strada determinando cambiamenti che la saga, strano organismo polimorfico, assorbe come un Blob gigantesco la cui funzione, forse, non è solo quella di far soldi.

Valentina Oppezzo, nel suo Harry Potter al cinema parla non dall’algida ed estranea posizione dello studioso che contempla dall’alto un fenomeno, ma da fan sfegatata, che tifa per le cose che racconta.
Da questa posizione interna vien fuori un volume agile che prende per mano il lettore conducendolo, per gradi, attraverso il lavoro degli sceneggiatori, dei registi, dei direttori della fotografia, dei costumisti e degli scenografi.
Il suo è un tentativo sincero di ricerca, uno studio che tenta di rintracciare una continuità all’interno di un progetto commerciale di vasta portata che ha fatto della discontinuità una delle sue cifre vincenti.
Nel processo di affabulazione delle pellicole, l’unica costante, infatti, è la corsa all’esemplificazione, alla riduzione delle complessità, alla ricerca degli eroi sempre senza macchia e senza paura del cinema per ragazzi.
Una prospettiva non bella per parlare bene di una serie di film che ha sfiorato le magie del cinema d’autore solo nel terzo episodio.
Il libro è zeppo di simpatiche ingenuità, come la scoperta meravigliosa che la colonna sonora non è solo musica, ma anche rumore e lavoro sul suono. Ma queste ingenuità sono restituite in maniera così spudorata che ti viene d’essere complice più che critico.
Epperò non si riesce ad essere sempre d’accordo con lo sguardo della saggista. Non si capisce troppo, ad esempio, l’assoluzione piena del capitolo Newell che viene, anzi, considerato tra i migliori per via della sua svolta thriller dimenticando la profonda caduta di tono, di stile e di tensione, della lunga parte centrale dei balli.
Soprattutto non le si riesce a perdonare la sbadataggine con cui “dimentica”, nel citare i possibili precedenti cinematografici della saga, quell’Antoine Doinel che, invece, era caro a Cuaron, l’unico tra tutti i registi della saga ad aver capito che quando personaggi, pubblico e attori invecchiano all’unisono, si ripercorre la strada de I 400 colpi (pellicola che, leggenda vuole, impose a Daniel Radcliffe durante le riprese).
Harry Potter al cinema, ad ogni modo, è un testo stranamente spurio. Si rivolge ad un pubblico di convertiti con l’ammiccamento delle battute, ma mantiene la struttura del saggio universitario da cui proviene (era una tesi di laurea).
Contiene tante belle intuizioni (una su tutte l’evoluzione della rappresentazione del castello nel corso delle varie pellicole), ma verso la fine stanca per eccesso di cura al dettaglio (l’analisi delle specifiche realtà musicali delle pellicole, spesso gira a vuoto senza fornire delle conclusione davvero probanti).
Su Harry Potter, insomma, sono ancora da scrivere parole veramente definitive.

Leggi QUI la recensione di Close Up al film HARRY POTTER E I DONI DELLA MORTE parte I


Autore: Valentina Oppezzo
Titolo: Harry Potter al cinema
Editore: Le Mani
Collana: Saggi
Dati: 300 pp, copertina morbida
Anno: 2010
Prezzo: 16,00 €
webinfo: Scheda libro sul sito Le Mani


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