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LIBRI: HOLLYWOOD, IL PENTAGONO E WASHINGTON

Pubblicato il 27 maggio 2005 da Simone Arcagni


LIBRI: HOLLYWOOD, IL PENTAGONO E WASHINGTON

L’autore di questo libro non è uno studioso di cinema, bensì - cito dalla quarta - “si occupa di studi strategici e di sociologia della difesa. E’ specialista di strategia americana...”
Questa è una premessa significativa perché si tratta di un testo di sociologia applicato all’immaginario americano e in particolare a quella industria che ha sostenuto, a volte sviluppato, più spesso creato, questo immaginario, l’industria cinematografica.
La tesi di fondo è che negli Stati Uniti, diversamente che da ogni altro paese, il problema della Sicurezza nazionale (e, connesso ad esso, quello dell’esercito e della gestione del potere internazionale) è radicato negli americani, è addirittura ontologico allo spirito americano, e l’autore ne spiega le mutazioni attraverso i tre esempi fondamentali: il mito della “Frontiera”, quello della “Città sulla collina” e quello del “Destino manifesto”.
Questo ha fatto sì che i rapporti tra Washington e Hollywood fossero sempre molto stretti, fin da quando il presidente Roosvelt convocò alcuni grandi registi, come Frank Capra e John Ford, per spingere l’industria cinematografica a farsi carico del nuovo corso politico del Paese. Ma anche quando John Wayne nel 1965, in piena guerra del Vietnam, e in piena contestazione, scrive al presidente Johnson per promuovere un suo progetto cinematografico patriottico e ottimistico che poi sarà Berretti Verdi, realizzato con il contributo determinante del Pentagono che fornisce elicotteri e consiglieri.
Non si tratta di un sudditanza al potere politico, anzi, spesso ci sono film decisamente critici verso certe politiche (pensiamo nuovamente al Vietnam)... quello che interessa è che i rapporti tra Stato e cittadini nei confronti dei temi (spesso le paure) della Sicurezza nazionale hanno coinvolto Hollywood in maniera significativa: dalla paura del nazismo, alla minaccia comunista (sovietica, cinese, sudamericana) fino al terrorismo.
I temi caldi del potere sono stati oggetto di opere e film: la paura atomica di The Day After e la dissacrante comicità del Dottor Stranamore per esempio. Ma i rapporti possono anche essere inversi e in questo caso è la politica che si rifà all’immaginario hollywoodiano... come nel caso di un discorso del presidente Reagan che, per spiegare l’utilità del famoso (piuttosto, famigerato) “scudo spaziale”, cita la da poco uscita saga di Guerre stellari, quasi a voler trovare una forte contiguità e vicinanza col suo popolo sfruttando il piano dell’immaginario.
Il contributo significativo del saggio di Valantin è quello di portare a suffragio della sua tesi una serie di eventi, testimonianze e documenti e inanellarli con la contemporanea produzione cinematografica. Dal punto di vista strettamente cinematografico il saggio ha un po’ il fiato corto: ben altri studi hanno ormai sviscerato il rapporto tra la fantascienza e la politica per esempio, così come hanno legato il filone cosiddetto “catastrofico” ai problemi di Sicurezza nazionale. E soprattutto il caso della cinematografia legata al Vietnam, con la mole di studi che ha ormai accumulato, non può essere “sorvolato” con la citazione di appena un pugno di titoli.
A suo merito va ascritto che la stretta logica della trattazione, i molti casi riportati e le strette connessioni che attraversano la cronologia, danno ragione alla teoria di Valantin per cui si può parlare, a proposito del cinema americano di Sicurezza nazionale, quasi come di un genere cinematografico.
A parziale discolpa di questa carenza di tipo cinematografico ribadiamo il fatto che l’autore non voleva redigere un trattato di cinema ma analizzare, attraverso lo studio della produzione cinematografica, il rapporto tra società, potere e immaginario... e in questo il saggio è riuscito.

[maggio 2005]

HOLLYWOOD, IL PENTAGONO E WASHINGTON - IL CINEMA E LA SICUREZZA NAZIONALE DALLA SECONDA GUERRA MONDIALE AI GIORNI NOSTRI
di Jean-Michel Valantin Fazi pp. 208, Euro 15,00


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