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Libri - Il cinema futurista

Pubblicato il 16 febbraio 2011 da Sofia Bonicalzi


Libri - Il cinema futurista

«E poteva il cinematografo sfuggire ai tentacoli del futurismo?» Domanda senz’altro retorica per Ferruccio Valerio, critico della prima ora che, nel nebuloso 1914, si apprestava a commentare, con mal celato sarcasmo, i primi approcci dell’avanguardia marinettiana al cinema. A distanza di un secolo si discute ben poco di cinema futurista, a differenza di quanto accade per i capolavori prodotti dall’espressionismo tedesco o dal surrealismo francese e spagnolo: si potrebbe facilmente concludere che, un po’ come nei buffi componimenti di Marinetti, tutto si riduca ad uno strepito e a qualche sparo. In realtà, se i protagonisti delle maggiori correnti artistiche di inizio Novecento preferirono, nella maggior parte dei casi, passare il testimoni a cineasti di professione (con la parziale eccezione di Salvador Dalì e Man Ray), i futuristi si dedicarono direttamente a cinema, con un misto di fascinazione esaltata per dinamismi fino ad allora impensabili (contro il regime passatista del libro e del teatro), e sincero timore nei confronti di un’arte bizzosa, nonché potenziale concorrente di una forma pittorica che, di per sé, inneggiava alla velocità, al tumulto e al moto perpetuo. Dalle Visioni simultanee di Boccioni alla Ragazza che corre sul balcone di Balla, il futurismo, che lavora sulla sintesi di luce e movimento per ricreare sulla tela l’illusione di un cinetismo inesauribile, rivela anche ad uno sguardo disattento un’anima intimamente cinematografica; eppure pochissime sono le testimonianze e i lasciti tangibili dell’ultima epoca aurea dello sperimentalismo artistico in Italia.

Per colmare questa lacuna risulta indispensabile il volume di Giovanni Lista che, in Il cinema futurista, edito da Le Mani, fa il punto di oltre quarant’anni di ricerche, catalogazioni, rassegne e analisi appassionate (con un ricco corredo finale di scritti dell’epoca, articoli, brani di sceneggiature), arrivando alla conclusione che «il cinema futurista italiano esiste, mentre è solo quella che Marinetti definiva “esterofilia” [ed eravamo negli anni ‘10, ndr], piaga inguaribile degli italiani, che impedisce di accorgersene». L’iniziale diffidenza nei confronti di uno strumento tecnico, che sembrava incapace di offrire di per sé dei modelli formali che potessero reggere il confronto con quelli della pittura e della scultura, ritardò l’approdo dei futuristi al cinema, arte di per sé audace e avventurosa, grazie alla fisiologica mancanza di un passato polveroso cui far riferimento. È a partire dalla metà degli anni Dieci che Marinetti e soci scoprono il cinema come potente mezzo espressivo, capace di stravolgere i canoni consolidati per ricreare un’estetica nuova e dissacrante, che traduca alla perfezione l’utopia futurista di un mondo che rifiuta le tradizionali connessioni narrative. Le animazioni allegoriche, il gusto per il paradosso, i montaggi strampalati e i trucchi pirotecnici del cinema popolare seducono lo sguardo degli avanguardisti italiani, in uno scambio prolifico di forme e modelli espressivi, all’insegna di un’opposizione programmatica alla civiltà borghese e ai suoi ritmi stantii.

Da questo connubio nascono opere lussureggianti e magnetiche, in cui geometrie e arabeschi si fondono con suggestioni surrealiste (Thais, favola esotica per la regia di Anton Giulio Bragaglia e la scenografia di Prampolini), e uomini ridotti a marionette si muovono in uno spazio cha ha perso ogni aura (Amore pedestre, che racconta la vicenda di un adulterio, mostrando solo le gambe dei personaggi). Vero e proprio manifesto della cinematografia futurista è Vita futurista (1916), opera collettiva, che vede la partecipazione di numerosi esponenti del gruppo di Marinetti, per la regia di due instancabili sperimentatori dai nomi evocativi, Arnaldo Corra e Corrado Ginna (all’anagrafe Bruno e Arnaldo Ginanni-Corradini). Vita Futurista, di cui rimangono soltanto sei sequenze, fra deformazioni plastiche, contrasti di volumi e giochi di montaggio, assembla liberamente invenzioni e situazioni, rinunciando ad ogni logica narrativa standardizzata e a qualunque forma di naturalismo espressivo, per rilanciare i miti decostruttivisti dell’immaginario futurista.

L’autore del volume analizza inoltre il rapporto dei futuristi con il contesto culturale e sociale del loro tempo fino ai controversi anni Venti, quando, con l’avvento di Mussolini, si registrò una rapido mutamento di orizzonti e prospettive. Negli anni bui del fascismo, il futurismo italiano assunse un ruolo vitale sul pano internazionale, offrendo, più o meno consapevolmente, spunti e suggestioni ai maggiori movimenti artistici europei (basti pensare a Metropolis di Fritz Lang, che mescola temi e scenografie futuriste ad un’atmosfera tipicamente espressionista), senza rinunciare a qualche controversa produzione nostrana (Velocità, 1930, di Cordero, Martina e Oriani, che reinterpreta i primi passi del cinema futurista alla luce di mitologie comuni alle altre avanguardie) e ad un’elaborazione teorica non indifferente di testi e saggi sul cinema. Se ancora, nel 1932, i firmatari del “Secondo manifesto sulla cinematografia futurista” (il primo risaliva al 1916), con il consueto surplus di retorica, potevano azzardarsi ad affermare che «solamente nel Futurismo è la salvezza della cinematografia mondiale», la fase più brillante dell’avventura cinematografica futurista si conclude sul finire degli anni Venti, lasciando tuttavia in eredità quella vis sperimentatoria e dissacrante, che non mancherà di riemergere, qua e là, nel cinema dei decenni successivi.


Autore: Giovanni Lista
Titolo: Il Cinema Futurista
Editore: Le Mani
Collana: Saggi
Dati: 264 pp, brossura, fotografie b/n e col
Anno: 2010
Prezzo: 15,00 €
webinfo: Scheda libro su sito Le Mani


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