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Libri - Il morso sul collo

Pubblicato il 23 marzo 2011 da Alessandro Izzi


Libri - Il morso sul collo

Ci sono due romanzi dentro Il morso sul collo.
l che potrebbe se non altro apparire strano a chi, volume tra le mani, ne saggia il peso. L’opera di Simon Raven sfiora, infatti, le duecentocinquanta pagine. Le prime venti se ne vanno per l’introduzione, lunga e dotta di Stefano Martello che ti dice tanto e un poco t’inganna, proprio come sarebbe piaciuto all’autore che l’avrebbe trovata, forse, troppo seria. Le ultime dieci se ne vanno, invece, in pagine di cortesia. Ci vogliono per salutare il lettore, per farlo sentire a casa dopo che la storia è finita e si apre il momento degli incubi più veri.
In tutto quindi, Il morso sul collo sta sulle duecentoventi pagine. Un po’ poco per due romanzi, in fondo. Soprattutto per una società come la nostra che i libri li compra un tot al chilo e nell’offerta possibile di due libri al prezzo di uno, si aspetta che uno dei due sia della grandezza di Guerra e Pace. Il risparmio dovrebbe essere tangibile.
In realtà i due romanzi stanno incastrati l’uno nell’altro. Non puoi leggere il primo senza fatalmente finire invischiato nel secondo. Le parole di Raven sono, ed è terribile ammetterlo, tutte gemelli siamesi che nessun chirurgo può staccare. Condividono quasi tutti gli organi. Spesso, ma non sempre, anche il cuore.
Il primo romanzo è horror. C’è un vampiro. Qualche vittima. Un filo appena di sangue che macchia il candido di un collo inglese che il sole non se lo va a prendere tanto spesso e l’abbronzatura non sa neanche dove sia di casa. E c’è un’università dove gli studenti stanno insieme, fanno comunella, studiano e si ubriacano. Il mondo di oggi e il mito di ieri in strana confusione che ricorda, per ambientazione e contraddizioni, ma non per tutto il resto Ombre del male di Fritz Leiber. Gli studenti son tutti maschi, con sottili strascichi di omosessualità latente che trasuda a fior di pelle senza mai concretarsi. Il vampiro è femmina e viene dal passato dell’antica Grecia.
Il mostro chiaramente ha la sua vittima: uno studioso che, lasciata l’università, era sceso in Grecia a cercare di conoscere i miti pagani del passato. Quelli del dionisiaco soprattutto, perché, impotente, vorrebbe far sesso, esprimere la sua virilità. Vittima ideale del vampiro, cede alle zanne e si fa vampiro a sua volta, forse.
Il primo romanzo è anche piuttosto brutto, ad onor del vero. Se si potesse separare dal secondo, il consiglio sarebbe di non comprarlo perché per metà è tutto un gran parlare di cose strane, di progetti universitari, di studi, di poesie più o meno riuscite, di guerra e di soldati. Poi, dopo un bel po’ arriva il mostro, ha una scena breve breve e neanche tanto spaventosa e, quindi, giù di corsa verso il finale che non è quell’apocalisse che i fanatici del genere si aspettano e sperano.
Ma il primo romanzo non lo si taglia via dal secondo. Forse, anzi ne è l’ombra. Forse ne è il riflesso chiaro in uno specchio nero. Come in una banconota ne è la filigrana che si vede solo in controluce. Tiene le fila di un qualcosa di più oscuro e profondo e ce lo serve su un piatto d’argento come la testa decollata del Battista.
Perché il secondo romanzo vive negli interstizi del primo, sta nelle sue pause, negli spazi tra un momento e l’altro della poca azione. E ne è il controcanto segreto, stridente, dissonante.
Nel primo romanzo ci sono i personaggi: funzioni semplici di un racconto piano in cui tutto ha una sua funzione e tutto scivola tranquillo nel fiume del racconto. Nel secondo romanzo c’è lo spazio intorno a loro: un vuoto solido, sordido, ambiguo. È il non luogo del loro pensiero, del loro desiderio, della loro brama che si prolunga nello spazio, che supera i confini del corpo e si fa aura, presenza palpabile, fastidiosa.
L’uomo non è una monade isolata, non vive chiusa in un guscio impermeabile. Il suo spirito ha confini incerti, fluttuanti ed un forte, perenne desiderio di espansione. Vorrebbe mangiar l’altro, ma deve accontentarsi di un antipasto cui ha dato vari nomi: amicizia, amore, professione. I rapporti interpersonali sono tutti fondati su questa implicita realtà: si vorrebbe sempre dominare, ma, se non se è abbastanza forti, si soccombe, si accetta una posizione sottoposta covando piccole vendette. Anche il più pulito degli amori si confonde con la brama del possesso, col desiderio, in fondo infantile, ma anche profondamente sessuale, di essere riconosciuti. Si vuol essere non “per” gli altri, ma “su” gli altri.
Simon Raven si prende sulle spalle il compito difficile di raccontare tutto questo non detto che c’è tra i suoi personaggi, di raccontarci quello che fanno, ma anche di lasciarci intendere il perché lo fanno. Lui vuole grattare sotto la superficie della colta università inglese, persa nei suoi riti di estrema razionalità e formalismo e scoprirci sotto pulsioni primarie, bisogni basilari e ciechi. Ogni azione, anche la più semplice come quella di aprire la finestra la mattina, nasconde intrighi della mente di cui siamo a stento consapevoli. Figurarsi poi il tripudio degli intrighi di un corridoio universitario pieno di persone a caccia di carriera e pubblicazioni.
Così la Criseide che popola il romanzo con la sua non presenza vampiresca, è povero mostro. Magari è solo una fanciulla che crede di essere vampiro ed esprime le sue pulsioni contorte e sadiche succhiando il sangue ai masochisti che le si fanno appresso. Se la si seppellisce con un paletto è tanto per star sicuri che non torni di notte, ma nessuno ci crede più di tanto che sia davvero un vampiro.
Tolta di mezzo lei, ci dice Raven, restano i veri mostri: tutti loro. Tutti noi. Perché i vampiri siamo noi quando ci nutriamo della libertà di chi ci sta intorno pur consapevoli che a star senza è un lungo morire di fame. E, in fondo, un po’ ci piace questo suggere sangue senza sporcarci le labbra.
Qui Il morso del collo, romanzo di persistente ambiguità, fa davvero paura. Nel lasciarci intendere che il nostro stesso stare al mondo ha qualcosa di mostruoso nel nostro malsano egoismo. Terribile da guardare in uno specchio, ma con qualcosa di piacevole, pallido come un sorriso meschino a mezza labbra.
Ed è qui che ci si accorge che il vero horror era, in realtà, non il primo, ma il secondo libro. Ed era, questo sì, grandioso.

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Autore: Simon Raven
Titolo: Il morso sul collo
Traduzione: Paolo De Crescenzo
Editore: Gargoyle Books
Dati: 250 pp, copertina brossura
Anno: 2011
Prezzo: 13,00 €
webinfo: Scheda libro sul sito Gargoyle


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