Libri - Islam e cinema

Dell’Islam sappiamo essenzialmente quel che ci dicono gli altri. Sono per lo più i mezzi di informazione, i media, i giornali e (in Italia più che altrove) i telegiornali a raccontarci, con parole troppo povere, il mondo musulmano. Il che equivale a dire che le nostre orecchie e i nostri occhi sono imbevuti del germe del pregiudizio che la cronaca, prima ancora che la Storia, deve adottare nei confronti del mondo per far sì che l’Evento si trasformi in notizia.
Sicché del mondo musulmano sappiamo quel che si insegnava a scuola, alle elementari, e cioè che c’era un feroce Saladino, che Maometto aveva avuto una rivelazione nel deserto e che i cattolici si diedero a crociate per cacciare gli infedeli da Gerusalemme. I bambini imparano su queste basi a parlare di Saraceni, di mori, di arabi e di turchi pensando che, siccome son tutti musulmani, devono anche essere la stessa cosa. Beata infanzia che cerca sempre scappatoie per studiar poco e correre poi a giocare in giardino!
Della nostra visione del mondo musulmano di oggi, quella mutuata dai media, si dovrebbe fare una distinzione cronologica che divide il prima dal poi della fatidica data dell’11 settembre.
Il prima ci raccontava di un mondo dalla religiosità strana e per certi versi inconcepibile per chi è abituato a sentire le prediche del parroco nella chiesetta vicino casa. Il mondo degli harem e di un uomo con tante mogli. Il mondo delle moschee col muezzin che intona (salmodiando e non cantando) la preghiera verso il sole e dove tutti pregano all’unisono pensando a La Mecca. Il mondo in cui la vita tutta è concepita come uno strano miracolo e in cui al fedele spetta solo il compito di ubbidire al comandamento di Dio, senza mai metterlo in discussione. Una realtà fatta di certezze piane che stanno salde ad un passo dai pozzi di petrolio che fanno gola ai nostri industriali. E, infine, un mondo in cui ai ladri si taglia la mano, alla donna infedele si lanciano pietre fino alla morte e al bestemmiatore si taglia la lingua. Dell’Islam prima dell’11 settembre ci faceva paura un poco il rigore che veniva dritto dal passato, senza mediazioni razionali, senza che fosse passato di mezzo un umanesimo che rimettesse l’uomo al centro del creato. Una religione piena di angeli e profeti che mette Dio al centro di ogni pensiero. E la gioiosità con cui il musulmano viveva (e vive) la sua vita ci pareva così inconcepibile che fingevamo di non vederla.
Il dopo 11 settembre ha parlato, con maggior sveltezza, la lingua dell’estremismo e noi abbiamo imparato molto in fretta a confondere la parte col tutto. Abbiamo visto uomini pronti a brandire la fede come una spada e abbiamo pensato che il mondo musulmano fosse tutto così. Magari anche un po’ per colpa della pigrizia di quando eravamo bambini e pensavamo che turchi ed arabi erano tutt’uno per la sola regione che erano tutti di religione islamica. Così abbiamo chiuso gli occhi e abbiamo cominciato a non distinguere più tra Egitto ed India, tra Cairo ed Arabia Saudita, tra Iraq e Iran. Tutto era infedele e tutto era nemico e poco ci sfiorava che quel tutto fosse di gran lunga più numeroso di ogni altra realtà perché l’Islam è la religione più diffusa sul pianeta.
Anche di cinema islamico sappiamo poco e ci sorprende stranamente che opere come Il destino di Chahine e Persepolis di Satrapi siano figli di uno stesso clima religioso. Il fatto è che nel mondo islamico il clima religioso non coincide necessariamente con quello culturale e se noi abbiamo questo pregiudizio è un problema nostro e non loro.
A tentare di far piazza pulita di almeno qualcuno dei pregiudizi che fanno da fondamento alla nostra visione del mondo islamico, interviene oggi un libro, Islam e Cinema, edito dai tipi del Centro ambrosiano. Si tratta del terzo volume di una trilogia dedicata al rapporto tra il cinema e le grandi religioni del nostro tempo (le altre due erano state buddhismo ed ebraismo).
Come nei due casi precedenti, anche in Islam e Cinema registriamo un approccio un po’ troppo “cattolico” al discorso. Anche se alcuni degli interventi sono chiaramente di matrice islamica e rappresentano, quindi, una visione dall’interno del fenomeno analizzato, il grosso del volume è, infatti, centrato su una visione (rispettosa, ad ogni modo) di un modello culturale visto da una prospettiva a suo modo “cattocentrica”.
Manca al discorso l’utopia dello sguardo antropologico che osservi i fatti culturali da una prospettiva neutra. Il che fa sì che il volume non abbia vocazioni di scientificità, ma mette i discorsi sulla pista di un auspicato dialogo interreligioso.
Le intenzioni sono ottime e il libro scorre con piacevolezza in una lettura che riserva spesso sorprese inaspettate.
Rispetto al volume precedente, molto deludente proprio sotto il profilo strettamente accademico (apparati note sbagliati, filmografia inesatta e un debordante numero di refusi) si registra qui un passo avanti. Errori tipografici sono, infatti, rari e non fastidiosi (su tutti: Asmar, citato correttamente all’inizio, diventi poi, per alcune pagine Asnar) e il discorso nella sua interezza è ricco e variegato, anche se pecca di sintesi nei momenti in cui sarebbe sembrato più opportuno un approfondimento (in particolare troppo brevi i saggi che precedono l’analisi filmica vera e propria che occupa gran parte del volume ed è, come sempre a firma di Giulio Martini).
Nel complesso ci pare di trovarci di fronte ad un libro interessante. Ma è ancora troppo poco per risvegliare le nostre coscienze e costringerle a cominciare a desiderare di conoscere il nostro vicino un poco meglio.
Autore: Giulio Martini (a cura di)
Titolo: Islam e cinema
Editore: Centro Ambrosiano
Collana: Immagini e Religioni
Dati: 240 pp, copertina morbiba
Anno: 2010
Prezzo: 18,00 €
webinfo: Scheda libro su sito Libreria del Santo
