LIBRI - KATHRYN BIGELOW

Il libro di Michela Carobelli dedicato alla regista californiana divenuta famosa soprattutto per Point Break e Strange Days è per molti versi interessante e ben costruito. Non si tratta di una monografia bensì di un saggio che traccia alcune linee fondamentali per la comprensione dell’unicità del cinema della Bigelow ma anche del particolare stato del cinema americano degli anni ‘80. Il testo punta l’attenzione sulle affinità, per esempio, con il cinema di James Cameron e Michael Mann (tra le intuizioni più profonde), non mancando di cogliere parallelismi anche con la produzione di John Woo o del, generazionalmente precedente, William Friedkin. Il lavoro sul genere e sul suo “tradimento”, o meglio sulla sua rielaborazione, che opera la Bigelow (secondo una scia tracciata da John Carpenter) e la definizione “filosofica” dell’action movie, come una sorta di modo di pensare il reale e il cinema per la regista, sono ben portati avanti e ben relazionati. Mentre è fondamentale, come afferma Giovanni Spagnoletti, nella sua presentazione, “... la centralità del Corpo, che il presente libro ben investiga, e che investe alla radice quella complessa transizione tra moderno e postmoderno ravvisabile nei più interessanti esempi di produzione hollywoodiana di fine secolo”.
E proprio qui ci sentiamo di muovere una critica su una certa “acerbità”... il discorso sul corpo è in effetti ben tracciato e investigato dalla Carobelli, ma non viene legato in maniera strutturale al compiersi del nuovo action movie americano e soprattutto a quella definizione di postmoderno che lo conterrebbe (sia per la sua funzionalità squisitamente significante, sia per la sua, tecnologica, scomparsa).
Sorprende infatti non trovare i riferimenti ai molti scritti di Canova (per citarne solo uno) sull’argomento, fosse anche per criticarli, soprattutto al suo L’alieno e il pipistrello. Il riferimento al discorso di Canova (cito lui come il più interessato all’argomento, ma potrei citare anche scritti apparsi negli ultimi anni da diversi studiosi su “Segnocinema” in particolare o “Filmcritica” e anche “Close up” stessa) avrebbe permesso, sia nel caso di una critica sia in quello di una contiguità, l’allacciamento con il dibattito sul postmoderno che invece l’autrice sembra non volere affrontare, o meglio affronta un po’ in modo indiretto, analizzando i temi inerenti al dibattito ma non citando direttamente il dibattito, anzi non citando quasi mai neanche la parola postmoderno se non per brevi e lapidarie definizioni in negativo, sottolineando più volte come il cinema della Bigelow non sia ironico né videoclipparo, come se queste fossero le uniche definizioni possibili del postmoderno. Una riduzione che viene messa in atto con l’aiuto (parziale) del saggio di Negri, Ludici disincanti, là dove l’autore afferma che questi due sono i termini maggiormente identificanti del discorso postmoderno. Tuttavia, è lo stesso Negri a prospettare una visione ben più ampia della definizione di ironico, e soprattutto a riprendere la definizione di “gioco”, e quindi di ludico, in una dimensione non certo “godereccia” o “comicizzante” (Negri cita molto il cinema di Almodovar e quello dovrebbe essere un campanello!). Ma soprattutto manca la bibliografia, ripeto, sul dibattito intorno al postmoderno che avrebbe permesso all’autrice di confrontarsi con teorie che meglio spiegano il contratto con lo spettatore, la rappresentazione del corpo, la velocità, l’ironia e la tragicità... e anche la contiguità con il videoclip (mi sembra il caso specificare ormai cosa si intenda per “videoclipparo”, quale sia la differenza tra la velocità di ripresa della Bigelow, la sua attenzione alla tecnologia, per esempio in Strange Days, la sua ossessione per il corpo e quella di molti videoclip, e non per forza solo quelli “d’autore” di Cunningham, Romaneck, Fincher, Sigismondi, Gondry). Ciò che imputo al libro è di sbarazzarsi velocemente e superficialmente di alcuni temi che invece sarebbero proprio fondamentali nel discorso sulla Bigelow (pensiamo alla costruzione del tempo nelle sue storie) e che hanno a che fare proprio con le teorizzazioni sul postmoderno. L’autrice ne coglie gli snodi, ne ferma i temi fondamentali eppure rimane al di qua del dibattito. Non si tratta di ingabbiare la Bigelow in una definizione interpretativa, ma non si può nemmeno commettere l’errore opposto di far finta che non ci sia un dibattito teorico vivo proprio sui temi che lei affronta.
Eppure il libro è buono: diviso fondamentalmente in due parti, la prima più di carattere “filosofico”, estetico, è anche quella più partecipata soprattutto a livello linguistico (con qualche corsivo, parentesi, ammiccamento cinefilo di troppo, forse), la seconda è la disamina dei temi affrontati e non solo, film per film.
KATHRYN BIGELOW - LA COMPAGNIA DEGLI ANGELI PERCORSI E SOGNI DI UNA REGISTA AMERICANA di Michela CarobelliLe Mani Euro 11,00, pp. 128
