Libri - La maschera del male. Il cinema di Rob Zombie

Tre film all’attivo più uno in uscita nei prossimi mesi, un cartoon ai limiti del buon gusto, colonne sonore ridondanti, falsi trailer e piccole apparizioni nei lavori di altri colleghi. Rob Zombie è questo e molto altro ancora. A rivelarlo è proprio il percorso intrapreso dal regista di Haverhill, sopra il quale egli stesso, sin dai suoi esordi, si è premurato di incidere a caratteri cubitali le linee guida di una poetica maledetta quanto affascinante, basata principalmente sulla rivisitazione dei film anni Settanta, sulla riconsiderazione dei generi classici e sulla conseguente destrutturazione di un mito americano più volte calpestato e violentato dalla visionarietà del suo tocco. Ciò che più colpisce di Zombie è proprio la misteriosa natura celata dietro quella sua apparenza da uomo rude, da metallaro trasandato che gioca a fare l’artista maledetto. Come i personaggi dei suoi film egli ha permesso che una maschera ben disegnata camuffasse per molto tempo la complessità dell’artista residente in lui e la presentasse all’esterno sotto forma di una più semplice predisposizione talentuosa e provocatoria. Guardando al di là della coltre che lo ha da sempre avvolto è stato possibile però percepire con il tempo i tratti tipici di un autore completo, sempre pronto alla sfida e mai rintanato sulle sponde della superficialità. Un autore che scrive e dirige i suoi film, che li arricchisce della propria musica non accomodante e che li lascia crescere nell’incubatrice maledetta del proprio animo ribelle solo per permettere loro di sporcarsi dello spirito maudit che la pervade, di insudiciarsi in quella materia incorporea, operante sul crocevia delle sue più intime passioni (letterarie, cinematografiche e musicali) e nata grazie alla spinta di un postmodernismo al quale Zombie sembra decisamente iscriversi. Nel corso del breve periodo che ci divide dal suo esordio cinematografico egli ha confermato di essere un autore non solo talentuoso ma anche molto coraggioso. La sua caparbietà gli ha consentito di fronteggiare sin dal suo primo film le complessità del genere horror con una sicurezza tale da suscitare invidia in molti dei suoi coetanei colleghi. Ha saputo in breve tempo attirare l’attenzione sulla propria figura, riuscendo a veicolare più facilmente un cinema all’apparenza compiacente ma dietro al quale si nascondono in realtà architetture complesse e multiformi. Sintomo primario, quest’ultimo, di un carattere eterogeneo, stravagante, così contraddittorio da riuscire ad includere nei confini del proprio linguaggio espressioni e tendenze a volte persino contrapposte. Per questo motivo l’opera di Zombie merita di essere seguita passo dopo passo. Perché l’indomani potrebbe includere quello che il giorno precedente ha irrimediabilmente escluso. Richiede pazienza e passione lo studio del suo cinema, della sua poetica, della sua estetica. Sentimenti che sembrano aver guidato Francesca Lenzi nella stesura di un testo molto interessante. Il primo in assoluto dedicato interamente all’autore di controverse e sorprendenti opere quali La casa dei mille corpi, La casa del diavolo e Halloween: the beginning. Lo schema utilizzato è quello solitamente riservato dalle Edizioni Il Foglio alla propria collana sul cinema: giovani autori che indagano la crescita e l’affermazione di nuovi importanti artisti del panorama cinematografico mondiale. Anche la composizione del testo corrisponde in gran parte allo schema a cui la casa editrice ha abituato i suoi lettori: un percorso lineare al cui interno spunti nozionistici e curiosità più o meno degne di nota si fondono all’analisi critica ben più complessa dell’operato artistico del regista.
Sulla base di tali direttive la giovane Francesca Lenzi tenta di ripercorrere così, all’interno del suo lavoro, lo stralcio di carriera iniziale di Zombie gettando al contempo uno sguardo generale e coerente sulle costanti del suo cinema, sulla fascinazione scaturita dal suo mondo e sulla complessità delle creature da lui ideate. L’autrice, conscia della delicatezza del proprio oggetto e della responsabilità acquisita nell’introdurre un argomento sinora mai affrontato, lascia che sia una partecipazione smodata a guidare, per gran parte del testo, la propria scrittura salvo poi frenare improvvisamente tale predisposizione e concedere maggiore spazio ad una schematizzazione del discorso; ad un approccio distaccato il cui risultato si concretizza in un testo molto meno fluido e molto più dedito invece ad una sintesi sommaria delle risultanti. Quest’ultimo tipo di scrittura se da un lato permette al lettore di apprendere con più facilità il senso dell’analisi affrontata, se consente una catalogazione più diretta e incisiva delle costanti del cinema di Zombie o delle peculiarità analizzate, dall’altro rischia a tratti di sminuire pericolosamente il lavoro dell’autrice e di affossarlo in una superficialità svilente. Questa semplificazione eccessiva del discorso unita ad una strutturazione del contenuto un po’ troppo confusionaria non fanno che aumentare infatti il rammarico nei confronti di un testo potenzialmente molto buono, vivo nella sua essenza e decisamente utile nell’affrontare le dinamiche legate a un autore ancora sottovalutato. Un testo con degli spunti interessanti e molto efficaci (come ad esempio la parte dedicata al collegamento tra il cinema di Zombie e quello di Hooper), che risulta apprezzabile quando sceglie di suddividere i capitoli dedicati ai tre film in segmenti direttamente concentrati sullo studio delle particolarità tipiche delle opere (il cromatismo, la famiglia, gli ambienti, l’estetica sporca alla base di certe scelte formali) ma che purtroppo sembra sorvolare con eccessiva rapidità e con una certa frequenza su fenomeni meritevoli, al contrario, di un approfondimento molto più concreto e puntiglioso. I difetti di superficialità e fluidità del testo non riescono comunque a minare la sincerità e la passione che esso lascia egualmente percepire. Una purezza presente in ogni pagina, che traspare ad esempio dagli splendidi disegni composti per l’occasione dall’autrice stessa o dai dettagli puntuali (anche se fugaci) da lei costantemente inseriti come prova di uno studio certosino, di una ricerca coinvolgente posta alla base di un testo che, malgrado tutto, risulta capace di trasportare il lettore nei meandri di un mondo sommerso e sconosciuto. Un mondo raccontato in maniera onesta e sincera e che siamo certi saprà comunque trasmettere a tutti quei lettori particolarmente affezionati al genere horror la passione con cui è stato concepito e scritto dalla giovane autrice.
Autore: Francesca Lenzi
Titolo: La maschera del male. Il cinema di Rob Zombie
Editore: Edizioni Il Foglio
Collana: Cinema
Dati: 190 pp, ill. b/n
Anno: 2008
Prezzo: 15,00 euro
webinfo: Scheda libro sul sito Edizioni Il Foglio
